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Parole minime


Libertà. C’è un parco a Roma che si chiama Villa Borghese. Adiacente a Porta Pinciana, era la vecchia tenuta dei principe Borghese (non è il primo ossimoro in politica). Non ha nulla di particolare, i parchi sistemati tra la fine del ‘700 e la prima metà dell’800 si assomigliano tutti: un tempietto tipo quello della Sibilla, un piccolo Odeon, un Casino di caccia o di piacere, la cabane dell’eremita, una fontana di rocce e via dicendo. Anche qua le solide querce scure si alternano a pini svettanti che, essendo posti su un piccolo rilievo, la sera colgono l’ultima vampa arancione del tramonto mentre ai loro piedi la luce si fa verde-blu. Insomma i pini di Roma, quelli che tanto colpirono Goethe e Respighi. Cerco, nei limiti del possibile, di andare passeggiare a Villa Borghese giusto per il sorgere del solo, non importa la stagione. E’ un lento girovagare quasi in solitudine totale e con i rarissimi frequentatori, le torme vocianti sono ancora da venire, non difficile scambiarsi un cenno muto d’intesa, il riconoscersi amanti dello stesso silenzio. Porto sempre una penna e un foglio di carta, hai visto mai, e la passeggiata finisce sempre alla panchina al bordo di un piccolo rivo di pietra, una Serpentine de noantri, nel quale con infinita ostinazione un bambino voleva far navigare le barchette di carta che con infinita pazienza la tata gli faceva.