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Parole minime


Libertà (lotta per la)Una quindicina di anni dopo Roma vive una certa radicalizzazione del confronto politico. Diventa difficile anche andarsene a zonzo da sfaccendati: nei rioni o nei quartieri della vecchia periferia riassorbita dall’espansione urbana la presenza ancora popolare di artigiani e operai garantisce una certa mobilità, i quartieri borghesi sono controllati dalle squadracce fasciste in ronda.  Una sera che in città tirava aria di fibrillazione vado a recuperare mio fratello minore che aveva un’assemblea a Lettere, in Aula 1, roccaforte dell’Autonomia Operaia. Ormai là avevo cominciato a lavorarci e mi sentivo un poco come il meticcio indiano dei film western: ormai non completamente di qua ma neanche completamente di là. Lo trovai con un pennello e una latta di vernice rosso lacca che aveva appena scritto sul muro a caratteri cubitali:IO SOGGETTO AMO E non si capiva se soggetto fosse riferito a io e quindi rinforzasse la soggettività oppure dovesse riferirsi a amo e quindi indicasse la soggezione all’amore.  Naturalmente la discussione durò fino all’alba e naturalmente non trovammo nulla su cui essere d’accordo. Il giorno dopo la Sinistra organizzò una manifestazione a piazza San Giovanni, una cosa grossa. Clima nervoso e servizio d’ordine schierato. A un certo punto si cominciano a sentire cori e musica in avvicinamento e si vede arrivare da via Emanuele Filiberto il corteo dei Collettivi Autonomi. Il servizio d’ordine si compatta per impedire l’ingresso alla piazza ma il corteo indifferente gira a sinistra per via Carlo Felicediretto verso Santa Croce e poi San Lorenzo dove si sarebbe tenuta una festa. Il corteo passa cantando un centone sull’aria della Guajira Guantanamera che suonava più o meno: “Fatte ‘na pera, Enrico fatte ‘na pera…”. Nel corteo naturalmente c’è  mio fratello che mi fa cenno di raggiungerlo. Io mi rendo improvvisamente di stare fisicamente in mezzo: fuori dalla piazza, al di qua del servizio d’ordine, in qualche modo apollineo e ripartitorio e il corteo festoso che andava fregandosene dei regolamenti di polizia, degli orari di raccolta dei rifiuti, dei semafori e di tutti i divieti in genere. Nella sua incoscienza totale il corteo se ne andava portandosi via la sua gioia dionisiaca e la mia giovinezza. Ho compreso a fondo, non solo capito con la mente, ma con il corpo e i nerci e le budella la poesia di Kavafis “Il dio abbandona Antonio”.   https://www.youtube.com/watch?v=imsGx5n9syA