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"il sapere ha potenza sul dolore" (Eschilo) ______________ "Perchè ci hai dato sguardi profondi?" (Goethe)
 

 

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la fede filosofica

Post n°83 pubblicato il 02 Gennaio 2012 da m_de_pasquale
 
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Si ritiene che la forma più certa di conoscenza che possiamo mettere in atto sia quella oggettiva che risolve la realtà nella relazione soggetto/oggetto (conoscenza scientifica), dove il soggetto non è il singolo ma una sorta d’intersoggettività intellettuale (e pertanto la conoscenza è valida universalmente) e l’oggetto è la realtà risolta nella sua datità (un oggetto definibile, controllabile). Ma quanto questo sapere razionale è in grado di comprendere l’e-sistenza? Quanto i suoi strumenti sono adatti a trattare la singolarità e la soggettività di una Esistenza, il nascondimento dell’Essere, l’inoggettivabilità della Trascendenza? Jaspers sostiene che occorrerebbe una sorta di “alogica razionale”, una fede: “Nel filosofare l’uomo trapassa la sua condizione naturale in forza della propria essenza. Ciò che nella rottura gli si rivela come essere e come se stesso è la sua fede”. Insomma se la filosofia intende oltrepassare i significati costruiti dal sapere scientifico, ha bisogno di una fede grazie alla quale il dato non è semplicemente assunto come un oggetto da analizzare, definire, controllare, ma come qualcosa che rinvia ad un’ulteriorità. E’ ciò che Jaspers definisce fede filosofica [filo-sofica perché ama (phìlei), si protende verso la sapienza (sophìa), ma non la possiede] che realizza l’autentica essenza dell’uomo: essa è ricerca che non trova compimento perché non solidifica l’oggetto isolandolo nell’immanenza o separandolo nella trascendenza, ma mantiene quella polarità per cui il suo spazio è quello della trascendenza immanente. Se questo è il suo orizzonte, la fede filosofica è l’unica in grado di dischiudere il senso delle cifre, ovvero quelle tracce lasciate dalla trascendenza nella nostra esperienza, l’annuncio dell’ulteriorità presente nelle situazioni-limite di cui si parlava precedentemente. Cifre che risulterebbero incomprensibili per il sapere della scienza che ha necessità di oggettivare e quindi isolare nello spazio dell’immanenza. Proprio perché sfugge ad ogni definizione che pretende di chiarire ed esaurire tutti i sensi della realtà, la fede filosofica è problematica. Ma è anche rischiosa perché non cedendo alla sicurezza della solidificazione delle cifre, rimane aperta ad ogni prospettiva e quindi anche all’insuccesso. La consapevolezza della problematicità della cifra e del rischio sono gli elementi che consentono di distinguere la fede filosofica da quella religiosa. Ambedue credono che la verità non è compiutamente svelata nell’immanenza; ma, mentre la fede filosofica – che opera nella polarità della trascendenza immanente - è consapevole della debolezza della sua verità perché non ha il carattere di universalità che potrebbe avere solo una verità scientifica, la fede religiosa – che separa immanenza dalla trascendenza - pretende di trattare con le logiche del sapere scientifico, finalizzate alla definizione di verità universali, contenuti ricadenti nel lontano orizzonte della trascendenza. Come è possibile riconoscere un carattere di necessarietà  - e quindi di validità universale – a contenuti che esulano dalla nostra esperienza perché ritenuti espressione di una trascendenza assoluta (= sciolta da ogni immanenza)? L’unica possibilità è quella di una fede che si opponga alla ragione qual è appunto la fede religiosa le cui verità pretendono di avere un carattere di certezza assoluta da escludere ogni altra posizione. Si potrebbe dire che la fede religiosa, conferendo alla trascendenza un’autorità assoluta nel mondo, sostituisce alla volontà di verità la volontà di potenza? La stessa volontà di potenza che troviamo all’origine del sapere scientifico e che trova le sue manifestazioni nel “dominio” della scienza e nel “potere” della tecnica. Insomma scienza e fede religiosa che avevamo pensate come contrapposte, in realtà hanno una medesima origine: la volontà di potenza! I segni di questa prepotenza sono individuabili anche in quelle che Jaspers chiama “deviazioni” subite dai caratteri fondamentali della religione biblica: il Dio uno che uccide il molteplice; il Dio trascendente che è separato dal mondo; il Dio persona che favorisce l’egocentrismo dell’anima che lo prega; i comandamenti di Dio che da semplici fondamenti etici acquisiscono rilevanza giuridica tali da regolare ogni aspetto della vita umana; la concezione masochista o sadica del dolore pensandolo come sacrificio a Dio. La volontà di potenza assolutizza il creduto e fa del credente un militante disposto a qualsiasi forma di lotta per difendere quella fede che impropriamente ha scambiato per verità. Confessa Jaspers: “E’ una sofferenza della mia vita, che si affatica nella ricerca della verità, il constatare che la discussione con i teologi si arresta sempre nei punti più decisivi, perché essi tacciono, enunciano qualche proposizione incomprensibile, parlano d’altro, affermano qualcosa d’incondizionato, discorrono amichevolmente senza avere realmente presente ciò che prima s’era detto, e alla fine non mostrano alcun autentico interesse per la discussione. Da una parte, infatti, si sentono sicuri, terribilmente sicuri nella loro verità, dall’altra parte pare loro che non valga la pena prendersi cura di noi, uomini duri di cuore. Ma un vero dialogo richiede che si ascolti e si risponda realmente, non tollera che si taccia o si eviti la questione, e soprattutto esige che ogni proposizione fideistica, in quanto enunciata nel linguaggio umano,  in quanto rivolta a oggetti appartenenti al mondo, possa essere messa di nuovo in questione, non solo esteriormente e a parole, ma dal profondo di noi stessi. Chi si trova nel possesso definitivo della verità non può più parlare veramente con un altro, perché interrompe la comunicazione autentica a favore del proprio contenuto di fede”. La fede filosofica, invece, consapevole che le sue verità sono singolari e non universali, e pertanto includenti e non escludenti, preferisce il dialogo e non la lotta perché all’assolutizzazione della propria posizione preferisce la comunicazione: “La fede filosofica è inseparabile dalla disponibilità incondizionata alla comunicazione, perché la verità autentica nasce dall’incontro delle fedi nella presenza dell’Umgreifende. Di qui l’affermazione: solo i credenti possono realizzare la comunicazione. Di contro, la non-verità nasce dalla fissazione dei contenuti della fede che si respingono l’un l’altro, donde l’affermazione: non si può parlare coi militanti di una fede determinata. Per la fede filosofica tutto ciò che costringe a interrompere la comunicazione o tenta di farlo è diabolico”.  (sacro - 9  precedente  seguente)

 
 
 
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