philo-sophia

anima "colpo di genio del cristianesimo"


Cartesio nelle Meditazioni metafisiche si propone di dimostrare anche la distinzione dell’anima dal corpo: “Meditationum de prima philosophia in quibus Dei existentia & animae a corpore distinctio demonstrantur”. Discutendone in classe, gli studenti sono rimasti affascinati da questa posizione: la piena autonomia del pensiero, nel senso che esso è sostanza (ciò che basta a sé stesso) “ … è il pensiero, la sola cosa che non può essermi tolta … sono una cosa pensante”. Per il nostro filosofo, il pensiero è sinonimo di mente, intelletto, ragione, res cogitans, spirito, io, cogito: insomma di realtà spirituale. E’ sinonimo di anima la cui conoscenza è immediatamente certa dato che essa costituisce la prima realtà ad emergere dalle ceneri del dubbio estremo (posso dubitare di tutto ma non che io stia dubitando, perciò esisto). Ma l’anima può esistere come un principio autosufficiente dal corpo? Costituisce il vero principio nel senso che è all’origine di tutte le manifestazioni spirituali? Non rappresenta, forse, “il colpo di genio del cristianesimo”, come afferma Nietzsche, perché essendo incorruttibile ed immortale ha tolto agli uomini il terrore della morte? L’idea della divisione dal corpo dell’anima e della sua autosufficienza nasce con Platone e costituirà uno dei filoni determinanti dell’antropologia occidentale. Per Platone l’anima nasce per un’esigenza epistemologica: affinché si pervenga ad una verità universale, bisogna prescindere dalla certezza sensibile proveniente dal corpo appunto perché le sensazioni corporee sono instabili, variabili. L’anima (io razionale) è separata dal corpo (a cui, nel mito della biga alata, viene associato il cavallo nero espressione dei suoi appetiti). Questo dualismo antropologico si radicalizza in Cartesio che spezza l’io dell’uomo in corpo e anima. Il corpo da soggetto viene ridotto ad oggetto, relegato nella res extensa, come gli altri oggetti. L’anima è sottratta ad ogni influenza corporea, pensata come puro intelletto nei cui pensieri c’è ogni senso del mondo. Uomini e mondo ricevono senso dalle cogitazioni dell’ego che compongono la nuova scienza. Finisce l’io umano che abita il mondo, che abita un corpo e si afferma un ego cogito, un io decorporeizzato che attraverso le sue funzioni produce oggetti ideali che valgono come norma per l’interpretazione delle cose reali. Il corpo così come è visto dall’ego cogito diventa il corpo oggettivo, un insieme di parti aventi tra loro una relazione meccanica: è il corpo così come lo vede la medicina moderna. Successivamente con la nascita della psichiatria il concetto di anima (psiche, coscienza) si rafforza perché bisognava sopperire a un deficit metodologico e cioè spiegare tutto quello che non si riusciva a spiegare dopo aver ridotto, per le esigenze della scienza, il corpo a pura quantità, a semplice sommatoria di organi. Se torniamo, però, ad una visione originaria scopriamo che nella grecità – prima dell’avvento della filosofia – così come nella tradizione biblica, esiste una concezione unitaria dell’uomo: il corpo non è cosa opposta all’anima. La Bibbia in particolare possiede una visione unitaria dell’uomo a forte accentuazione corporea (non fa mai riferimento all’anima nei termini in cui se ne può parlare sotto l’influsso del pensiero platonico). I termini che ancora oggi usiamo, significativi del dualismo, sono il risultato di un tradimento delle parole originarie usate nella Bibbia: nefes (vita dell’uomo nella sua indigenza) è stato tradotto in greco con psychè e poi in latino con anima; ruah (vento, respiro, potenza di Dio) è stato tradotto in greco con pneuma e poi in latino con spiritus. E’ evidente che le traduzioni hanno accentuato l’idea di un principio (anima) autosufficiente dal corpo che diventerà addirittura immortale. Ed allora come possiamo spiegarci l’anima? Come è nata? Afferma Galimberti: “L’umanità ha sempre chiamato anima la differenza che avvertiva tra sé e gli animali. La parola si è prestata a molti equivoci, ma Nietzsche la sorprende alla sua origine, là dove sorge, in quella incompiutezza che fa dell’uomo l’animale non ancora stabilizzato”. La tesi è la possibilità di rintracciare l’essenza di ciò che chiamiamo anima nella costituzione incompiuta dell’uomo, nella carenza istintuale che lo differenzia dall’animale. L’animale, dotato istintualmente, ha la capacità di adattarsi alla natura e quindi sopravvivere; l’uomo per la sua carenza istintuale deve trasformare la natura in una natura artificiale tale cioè che consenta la sua sopravvivenza. Come afferma Gehlen: “L’uomo vive essenzialmente in una seconda natura, in un mondo da lui stesso trasformato e vòlto al vitale servizio dei suoi bisogni, vive in una natura artificiale”. L’uomo è costretto ad agire per sopravvivere. Nei suoi tentativi di adattamento fa tesoro dei risultati raggiunti che formano il tessuto della memoria: l’interiorità è il riflesso dell’esteriorità. A questi schemi immagazzinati a cui l’uomo farà regolarmente ricorso, darà il nome di anima, ragione, intelletto, spirito. L’anima quindi nasce dall’azione dell’uomo. E’ l’azione che produce la riflessione: l’anima non è originaria.