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il sacro della musica

Post n°85 pubblicato il 21 Gennaio 2012 da m_de_pasquale
 

Se la musica non è abitata “dal linguaggio, dalla ponderatezza del pensiero, dal travagliato acquisire della riflessione”, ma – come dice Kirkegaard – “in questo regno risuona soltanto la voce elementare della passione, il gioco dei desideri, il chiasso selvaggio dell’ebbrezza, si gode soltanto in eterno tumulto”, essa potrebbe favorire la possibilità di accesso a quella parte più profonda e meno nota della nostra anima che ha a che fare col sacro. Sembrerebbe che l’udito più degli altri organi sensoriali abbia una potente capacità trascendente in grado di farci superare il confine e il limite: se la parola della nostra bocca è chiusa in significati ben definiti perché soggetta alle leggi della logica, se la vista del nostro occhio circoscrive e delimita l’orizzonte visibile, il suono percepito dal nostro udito è in grado di inoltrarci in sensi che stanno al di là di tutti i significati codificati. In questo senso Valentina afferma: “Se è vero che nel momento folle, dove l' Es prende il sopravvento, non ci sono più dimensioni come quella del tempo, dello spazio, del limite, della mortalità e dal punto di vista cognitivo tutto si esprime con immagini e simboli, direi che ascoltare la musica per me vuol dire essere in questo 'stato', entro certi limiti”. La musica è come un viaggio – dice Martina – che permette di raggiungere i luoghi più profondi della propria interiorità: “La musica, unitamente al contesto (la notte, il buio, il fatto di essere soli), genera sensazioni che personalmente ritengo talmente intense da poter essere paragonate a quelle di alcune droghe, visto che è un vero e proprio viaggio della mente per me: ascoltare e seguire le note è come finire in un vortice, è come se venissi ipnotizzata, la mia mente genera un flusso ininterrotto di immagini e pensieri non ben definiti, che finisce solo quando finisce la musica”. Un viaggio capace di suscitare emozioni intensissime come dice Francesca: “Non riesco a descrivere bene quello che ho provato, ma ho sentito un brivido dall’addome che è salito fino alla gola passando per il cuore, e li si è bloccato … come quando ti viene da piangere e non ci riesci”. Una irruzione sconvolgente nella propria esistenza come racconta Tonia: “Ci sono canzoni che mi fanno salire i brividi, che mi fanno scendere le lacrime … di solito quando mi commuovo, quando ho brividi, quando sto quasi per levitare in aria come uno che medita, allora quella canzone è riuscita a smuovere qualcosa di recondito in me! Non sempre il testo è chiaro ed esplicito e, tuttavia, mi emoziona. Magari alcune le ascolti e chi le canta ti sembra un usurpatore perchè ti ha invaso … senza che tu te l'aspettassi si è appropriato di te e, quando la canzone finisce, tu rimani sola a raccogliere gli stracci che ha lasciato di te…”.  Un viaggio che sembra un ritorno a quel dedalo di emozioni che ci costituisce nel profondo, di stati d’animo che la musica ha il potere di evocare facendoci sperimentare una profonda nostalgia, fornendoci, però, anche la possibilità di riconoscere queste emozioni per averne intelligenza. Una possibilità che è data solo alla musica come pensa Giusy: “Non so spiegare benissimo quale sia il nesso tra la musica e la mia anima, potrei dire però che essa arriva lì dove non arriva l'italiano, o le urla o la paura o uno schiaffo o un bacio”. La funzione evocatrice della musica può non solo essere subita come quando è lo stato d’animo ad influenzare il tipo di musica che si intende ascoltare, ma può essere anche provocata affinchè favorisca l’emergere di determinate emozioni affermandosi, così, un ruolo più attivo della nostra intelligenza. L’individuo aspira ad una condizione dove, finalmente, può sperimentare lo stato di quiete originaria che rappacifica la sua incessante esperienza dei contrari, dove non conosce più lo scarto tra la possibilità e le sue realizzazioni, quella condizione d’identificazione col tutto che le religioni identificano con l’esperienza di Dio. Questa condizione diventa accessibile con la musica a sentire le sensazioni raccontate da Antonella a proposito dell’ascolto di una melodia di Einaudi: “Le note che ascoltavo mi hanno letteralmente catturata e ne sono rimasta incantata. In quel momento è come se il tempo si fosse fermato, tutto attorno fosse sparito ed io ero totalmente rapita da questa melodia … non avevo nessun pensiero per la mente, sentivo solo queste note che mi attraversavano e mi tenevano ferma e immobile per farsi ascoltare. Poi l’ho risentita ancora e ancora e ancora … e ogni volta era una sensazione diversa. A volte mi trasmettevano una pace assoluta, per la loro armonia e il loro ordine. Forse è proprio questo il potere di questa canzone: ogni nota è al posto giusto e non potrebbe essere altrove, e allora ne sono catturata perché forse trovo lì quella perfezione che fuori non c’è, ci trovo quell’ordine e quella serenità che forse dentro me a volte non ho. È come se anche la mia anima cominciasse a danzare in equilibrio con lo scorrere di queste note, e allora trovo un senso di pace e serenità, e sto lì, ferma, senza pensare a niente”. Se l’armonia della musica riproduce la situazione della quiete originaria a cui aspiriamo, è anche vero che esiste un altro tipo di musica che rinvia alle nostre origini, quella musica che riproduce la ritmicità del linguaggio originario: la musicalità del corpo (il battito del cuore, la ritmicità del respiro), della natura (il ritmo giorno/notte). Una musica che esprime l’urto della contraddizione, quella dei seguaci di Dioniso che seduce, inebria, si impossessa degli animi. Una musica che diventa tutt’uno col corpo inserendolo nel flusso dell’energia vitale come ci raccontano Valentina, Silvia ed Antonella. “ La musica ritmica, ripetitiva ha fascino sui giovani perchè a mio parere sono molto legate al ballo, al caos della discoteca, luci, gente e anche un pò di alcool ... Sento questo tipo di musica col movimento del corpo, … il corpo segue la musica; in quel momento non penso a molto e come se staccassi davvero la mente da ogni moralità, preoccupazione per i problemi piccoli o grandi; si scatena l'energia vitale che si ha dentro, non si può fare a meno di muoversi”.  “A noi giovani piacciono musiche dal ritmo cadenzato e primitivo perchè risvegliano quella parte più nascosta di noi, quella istintiva e primitiva per l'appunto, che le convenzioni ci invitano a mettere sempre da parte … ed ecco quindi che balliamo, in cerchio, come dei pazzi, agitando le braccia e la testa con un fare quasi scimmiesco. E' come ritornare nell'era primitiva, in quei locali con le luci psichedeliche e una musica assordante: sono catapultata in un mondo totalmente diverso, che mi altera nel vero senso della parola”.  “Fin da subito mi vien da muovere i piedi e la testa a ritmo di musica, un ritmo forte e ripetitivo. Questo tipo di musica trasmette forza, energia, ti entra dentro e ti da carica. Questi ritmi semplici così primitivi forse risvegliano in te un essere quasi primordiale, che ti fa sentire indomito, libero, quasi fuori dalle convenzioni e dalla civilizzazione. È come annullare la cognizione e l’evoluzione e tornare un tutt’uno con la natura, fatta di ritmi e cicli. Quindi forse i giovani amano questa musica proprio perché permette di uscire dai limiti delle convenzioni e tornare al puro istinto. Il ballo è energia. Non contano i movimenti o la perfezione di un passo, l’importante è farsi travolgere dalla musica. È essenziale annullare una parte di noi: la ragione. E lasciare che tutto il resto prenda il sopravvento: l’anima, il cuore, l’istinto, l’inconscio, la forza fisica, l’irrazionale …. non è più la mente a guidarci, ma tutto quello che è fuori controllo. Non ci sono regole, ed è proprio questo che permette di farci accedere alla parte più nascosta di noi. Che sia un semplice muovere i piedi, oscillare, o saltare … l’importante è sentirsi liberi. In quel momento è l’anima che ti guida. A volte quando sento la musica c’è qualcosa dentro che mi spinge a danzare energicamente, e vorrei farlo fino allo sfinimento. Ma c’è qualcosa che mi frena, e questa è la ragione, con le sue convenzioni e la sua timidezza”. In che rapporto sono la musica armonica con quella disarmonica? Sono due modi autonomi di fare musica oppure la dissonanza della disarmonia può essere godimento solo se ha in vista la consonanza dell’armonia? La dissonanza che riproduce l’inquietudine dell’individuo, il tormento derivante dai limiti della sua condizione, ha in sè naturalmente il desiderio della consonanza, della composizione dei contrari? Probabilmente la verità è nel mantenimento della polarità e pertanto la musica custodisce la sua natura utopica (e quindi è un organo della trascendenza) quando esprime costantemente lo scarto che esiste tra ciò che siamo e la sua possibilità. Le citazioni sono relative agli interventi di alcuni miei ex studenti che si sono prestati a rispondere alle mie domande sul ruolo della musica nella loro esperienza. (sacro - 7  precedente  seguente)

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Commenti al Post:
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Antonietta P. il 24/01/12 alle 18:36 via WEB
Bellissimo nel punto.. " L’individuo aspira ad una condizione dove, finalmente, può sperimentare lo stato di quiete originaria che rappacifica la sua incessante esperienza dei contrari, dove non conosce più lo scarto tra la possibilità e le sue realizzazioni, quella condizione d’identificazione col tutto che le religioni identificano con l’esperienza di Dio"....
 
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