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"il sapere ha potenza sul dolore" (Eschilo) ______________ "Perchè ci hai dato sguardi profondi?" (Goethe)
 

 

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ek-sistenza

Post n°82 pubblicato il 21 Dicembre 2011 da m_de_pasquale
 

Heidegger individua nella trascendenza il modo di esser proprio dell’uomo, “è qualcosa di appartenente all’Esserci dell’uomo non come suo comportamento possibile fra altri, ma come la costituzione fondamentale di questo ente, precedente ogni altro comportamento possibile”. La trascendenza è la tensione aperta tra l’Esserci (=l’ente-uomo la cui esistenza è individuata spazio-temporalmente) e l’Essere, badando bene ad intendere quest’ultimo non come un “oggetto” alla stregua degli altri enti, altrimenti la tensione scadrebbe nel possesso, nell’oggettivazione, nel controllo. E’ vero che il nostro desiderio di conoscenza si placa solo se ha di fronte un oggetto (= sapere oggettivabile) che è possibile guardare, analizzare, definire, controllare: ma è ancora l’Essere ciò che definiamo e controlliamo? Heidegger denuncia l’incomprensione e quindi l’oblio dell’Essere da parte della metafisica occidentale proprio perché l’Essere è stato trattato come un ente con la possibilità di oggettivarlo e controllarlo. Probabilmente serve un sapere inoggettivabile (una fede?) per potersi aprire a “ciò che fa essere gli enti” ovvero alla condizione del loro esserci. Una riduzione dell’intervento umano per lasciare spazio allo svelamento (aletheia) dell’Essere, per poter cogliere questa presenza che in ogni ente si annuncia sottraendosi. Jaspers, affascinato dal Tutto avvolgente di Anassimandro, lo definisce Umgreifende che significa “ciò che, afferrando, circoscrive gli enti”. La trascendenza, pertanto, in quanto apertura all’Essere rappresenta il carattere costitutivo dell’Esistenza (= il modo d’essere dell’Esserci): l’uomo non è un ente tra gli enti, ma è colui che può sollevarsi dalla datità per emergere dall’orizzonte dell’oggettività empirica ed aprirsi alla comprensione dell’Essere. Un’apertura sperimentabile in quelle che Jaspers definisce situazioni-limite, “situazioni come quella di dover essere sempre in una situazione, di non poter vivere senza lotta e dolore, di dover assumere inevitabilmente la propria colpa, di dover morire … sono situazioni che sfuggono alla nostra comprensione, così come sfugge al nostro esserci ciò che sta al di là di esse; sono come un muro contro cui urtiamo e naufraghiamo”. Nell’esperienza del limite le cose del mondo divengono scrittura cifrata, equivoco perché pur essendo nell’immanenza rimandano alla trascendenza. Oltre che dalla comprensione dell’Essere, l’Esistenza è qualificata dalla possibilità nel senso che l’essenza del nostro esserci non è data una volta per sempre, non è una realtà fissa e predeterminata, ma si costruisce nel riferimento a qualcosa che è al di fuori e al di sopra dell’esserci empirico; essa coincide con l’Esistenza (= ek-sistenza: star fuori) e si annuncia: “a) nell’insufficienza che l’uomo sperimenta in se stesso, quando avverte che c’è sempre in lui qualcosa di incommensurabile per il suo esserci, il suo sapere e il suo mondo spirituale; b) nell’incondizionatezza del suo autentico esser-se-stesso a cui l’uomo sottomette il suo esserci, e da cui sente derivare ciò che per lui è significativo e valido; c) nello slancio verso l’unità di cui l’uomo non può fare a meno perché non si accontenta di un solo modo dell’Umgreifende, e nemmeno di tutti i modi riuniti, ma tende all’unità del fondamento, unità che si identifica con l’essere e l’eternità; d) nella coscienza di una incomprensibile reminiscenza, simile a una coscienza partecipata con la creazione o al ricordo di una visione anteriore alla sua presenza nel mondo; e) nella coscienza dell’immortalità, che non è una continuazione della vita in un’altra forma, ma un rifugio nell’eternità che sopprime il tempo, e che all’uomo appare come il cammino inevitabile dell’azione efficace nel mondo” (Jaspers). E’ chiaro, quindi, che se noi sentiamo di essere più di quello che riusciamo a realizzare, abbiamo la necessità di andare oltre, di progettare, di trascendere: la trascendenza ci è connaturata. Perciò Jaspers alle domande: “c’è qualche motivo che giustifichi questo trascendere? Non siamo soddisfatti nel mondo degli oggetti? Tutto ciò di cui noi abbiamo bisogno, tutto ciò a cui noi riconosciamo un essere, non è lì davanti a noi oggettivamente, e questo mondo non è tutto?”, può rispondere: “il trascendere nasce nell’inquietudine che si prova davanti alla fugacità di tutto l’esserci, e che senza il trascendere sarebbe ineliminabile”. (sacro - 8  precedente  seguente)

 
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