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la vita vissuta nella trascendenza immanente

Post n°86 pubblicato il 01 Febbraio 2012 da m_de_pasquale
 

Come cambia la vita se viene vissuta nella dimensione dell’essere? Se viene vissuta come una e-sistenza nella costante polarità con l’essere e quindi in quella dimensione che abbiamo definito della trascendenza immanente? Una vita che lasci spazio alla fede filosofica, la possibilità che ci consente di coniugare l’immanenza con la trascendenza? Di sicuro sarebbe una vita coerente con la sua natura più propria (che è quella dell’oltrepassamento = ek-sistenza) e proprio per questo felice se è vero come ci ricorda Aristotele che la felicità coincide con la realizzazione dell’autentica natura dell’uomo. Cosa sarebbe la nostra vita interiore se non mantenesse costantemente la polarità con la trascendenza? Si appiattirebbe sulla maschera imposta dalla cultura, dalla società rimuovendo componenti della nostra interiorità verso le quali ci è impedito l’accesso. Accesso che coincide col processo d’individuazione, secondo la definizione junghiana, vale a dire la possibilità della trascendenza: solo andando oltre la mia parte conosciuta diventa possibile instaurare una relazione con la parte nascosta del mio io che contribuisce a vivificare la mia anima. Una delle esperienze – o, forse, l’esperienza - qualificanti la nostra vita è l’amore che quando è vissuto nella chiusura dell’immanenza si riduce a possesso, gelosia, godimento, sessualità ridotta a commercio di carne e quando si alimenta della pura trascendenza vive dell’idealizzazione astratta, impedendosi la possibilità dell’apertura dell’immanenza sulla trascendenza come avviene nella seduzione che col gioco vedere/non vedere apre uno spiraglio su un’ulteriorità di senso. Assecondando la natura dell’amore che è desiderio non sperimentiamo la mancanza che spinge all’azione e quindi alla trascendenza? E la passione, non gioca anch’essa con la trascendenza se la consideriamo come il turbamento per la messa in pericolo della mia identità nella disponibilità a trascendersi? Insomma è nella vera natura dell’amore non risolversi in un polo (immanenza = protezione, stabilità, misura, possesso, sicurezza) o nell’altro (trascendenza = rischio, oltrepassa mento della misura, eccesso, libertà), ma mantenere una costante polarità tra immanenza e trascendenza, appunto la trascendenza immanente. Un rapporto con la natura esercitato nell’ottica della sola immanenza, considerandola un fondo a disposizione, materiale da sfruttare per alimentare la logica del profitto, consente di cogliere in essa un rinvio all’Essere? E’ ancora possibile quello sguardo ingenuo capace di vedere nella montagna la possibilità di accedere al cielo cioè a quella parte che ci sovrasta e che è a noi ignota? Vedere nel sole e la luna il mistero della nostra vita che è un continuo morire/risorgere? Pensare alle acque come la fonte della vita e la possibilità di una rigenerazione? Meravigliarsi della stabilità delle rocce, della maestosità degli alberi, dell’infinita altezza del cielo? Un’etica che si muove nell’orizzonte della trascendenza immanente non possiede la sicurezza delle etiche che hanno solidificato la polarità tra trascendenza ed immanenza, che per assecondare il bisogno di controllo e dominio, esigenze della volontà di potenza, hanno redatto tavole di regole e prescrizioni da applicarsi universalmente e valide per ogni situazione. L’etica della trascendenza immanente è un’etica del rischio, della problematicità. Un’etica che non ha fondamenti ontologici a suo sostegno, non vive di certezze indubitabili, non prescrive comandamenti sicuri validi universalmente. E’ un’etica del viandante che vivendo passo per passo il solo paesaggio che attraversa, non ha punti di riferimenti certi come il viaggiatore che conosce la sua meta, ma decide di volta in volta ciò che è giusto fare avendo la consapevolezza che quanto deciso non può avere una valenza universale. Che ne è della politica se smarrisce la tensione con la trascendenza? Diventa esercizio del potere finalizzato all’interesse privato di singoli e gruppi: prevalenza dell’interesse privato sul bene comune. Diventa luogo del privilegio, dell’ingiustizia, dell’esclusione, della violenza. Chissà se Platone col suo comunismo che anteponeva l’interesse della polis a quello degli individui, Rousseau che prospettava la possibilità di una volontà generale capace di guadagnare una posizione che superasse le volontà individuali, Marx che anteponeva l’interesse collettivo della democrazia piena alla priorità dei diritti individuali predicati dal liberalismo borghese, non esprimano il progetto di radicare la tensione trascendente nella politica, la possibilità, cioè, di innescare un rinvio che faccia superare l’appiattimento sull’interesse particolare di gruppi ristretti e restituisca alla politica la tensione verso il bene comune. La perdita della dimensione dell’essere in economia si traduce nell’assolutizzazione della logica del profitto. Un oggetto nato come strumento per stabilire equivalenze negli scambi diviene il centro attorno a cui ruota il sistema economico: il denaro. Tutto viene sottoposto alla logica mercantile di scambio, tutto viene monetizzato (tradotto in denaro), ogni cosa ha un prezzo. Non solo le cose materiali ma anche quelle immateriali. Come insinuare la trascendenza nell’economia? Togliendo potere al denaro ed assegnandolo alle relazioni. Non è il denaro che ci fa vivere ma la possibilità di stabilire rapporti (andare oltre noi stessi = trascendenza) con gli altri. Passare da un’economia di mercato ad una economia delle relazioni che soddisfi i veri e necessari bisogni che gli individui hanno per essere felici. Una economia non più asservita al mito della crescita e dell’efficienza, ma rivolta al servizio e alla manutenzione, dove alla logica dello scambio va preferita la logica della reciprocità che rafforza la solidarietà tra gli individui.  (sacro - 10  precedente)

 
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