Sottouncielodistelle

Alberto Mattei


PRIMO. Seduto alla destra, ora sul punto più alto, da cui: il grande deserto d'acqua - piccolo per qualsiasi dio - aveva già iniziato a spegnere metà dei fuochi di ogni giorno; il vento, piano, metteva in ordine gli errori del cielo, in disordine: pettinava più in basso. Gli occhi, lenti come sfere avvolte nella sabbia, lanciavano sguardi accarezzando le forme più rotonde, le più spigolose. Alti alberi artificiali, con rami filiformi e paralleli, si opponevano al passaggio della luce, annerendo e lasciando illuminare subito dopo, con una velocità impressionante, il potente cavallo d'acciaio che scendeva trascinando quel piccolo condominio messo in fila, suddiviso per classi. Tanti piccoli appartamenti dove i pensieri correvano veloci, più delle ruote che li trasportava, o si addormentavano, come ingolfati, per risvegliarsi a destinazione in luoghi sconosciuti e lontani. Le sfere, sempre più sabbiose, si rivoltavano nelle loro nicchie e chiudevano le tende, per riaprirle e richiuderle: per proteggersi da quelle frustate di luce. D'improvviso -a tutta pagina- il fuoco. Uno schianto di luce che si insinuava dappertutto: tra i fili d'oro, neri, castani, rossi, li bruciava, li rendeva trasparenti; luce anche sulla pelle e come nei campi, i solchi ringiovanivano con un effetto immediato, sbiancavano, si levigavano, ma solo per poco; ancora gli alti alberi artificiali si anteponevano insieme a costruzioni artificiali e naturali e i solchi ridiventavano come nei campi, profondi, segnati. Gocce scendevano cadendo, non volando, - per effetto dell'attrazione terrestre - sopra le sfere, lavandole dalla sabbia, fino alle escrescenze carnose e rosee. Piccoli punti neri - tutti uguali,- come germogli di serra, tutti allo stesso modo, addolciti dalla schiuma morbida e soffice acquistata in un autogrill, allineati dal filo di una lama della mattina presto - stavano crescendo innaffiati da quelle gocce che si spandevano ovunque. La mano, stanca per le troppe ore o perché aveva girato pagine imbrattate di inchiostri colorati, stava ferma. Riposo. D'improvviso un dito si mette a ballare, gli altri subito dietro come rispondessero al richiamo di una musica che non c'è. Un ritmo scandito dal viaggiare, dal trascorrere del tempo, ma quel movimento non dura più di tanto. Fermi. Ancora riposo. Ancora la stanchezza: sulle braccia, le gambe, le ginocchia, la spina dorsale, i denti. Tutto fermo. Immobile. Poi una gamba per prima si allunga, l'altra la segue; sentono la musica che non c'è? Insieme si distendono verso sinistra: due perfette corsie d'ospedale, due corsie di strada: ora stanno ferme. Ancora uno sforzo. L'immobilità cessa, si muovono ancora asimmetricamente. Si muovono anche le scarpe che rivestono i piedi. I pantaloni. Lo sforzo si estende: le braccia, i gomiti, le mani si protendono come piante rampicanti, si allungano verso il fuoco, la vita, la luce. La testa accenna un roteare straziante. C’è dolore in quel movimento, pressione: i muscoli si allungano, i solchi, - come nei campi- si stendono, si appiattiscono; le sfere, ancora avvolte dalla sabbia, stanche, si allargano a dismisura, si richiudono, si riaprono. I muscoli vocali vibrano. Prima di una frequenza bassa, lenta, poi prendono corpo. La loro contrazione è un suono lungo, il sibilo del vento tra le tavole di legno di una vecchia casa, tra i ferri arrugginiti. I denti si sfregano, macerano quell'aria stantia vecchia di ore e, tra le fauci, la sbriciolano. La massa ora si definisce: Sarà un uomo. La mano accarezza la fronte, coglie la rugiada come da un fiore, la scuote a terra e, lì, rimane gonfia, lucente, sulla moquette rossa delle ferrovie dello stato; poi si fa’ assorbire, si insinua fino a perdersi tra le fibre. L'uomo accenna una rotazione sul busto; si siede sull'altra parte, - la sinistra, sempre seduto alla destra, ora, sul punto sempre meno più alto da cui [...] - Sul piano del finestrino si susseguono ininterrottamente quadri: tramonti, paesaggi, marine. Senza firma, senza il cartellino del prezzo, senza la voce del banditore. La noia, in questo turbinio naturale, in questo roteare di sensazioni dell'aria, è l'interprete principale. Il viaggio ormai dura da ore che sembrano mesi, anni. L'unico passatempo è urlarsi dentro, corrersi dentro, muoversi con la mente anziché con i muscoli; una sorta di attività ginnica del pensiero che dà torpore, statizza i movimenti, che fa’ sentire un subbuglio dentro mentre si è fra gli altri. Nessuno vede quel ciclone che è appena contenibile, quella battaglia interiore che sbatte forte contro le pareti interne della scatola che, a tratti, la fa sobbalzare, la scuote. (albertomattei, da "Passaggio per il nuovo mondo")