piazza alimonda

Addavenì Obelix


Cinghialone Borghezio ha provato l'ebbrezza della galera. Quella belga, segno che lassù sono più evoluti di noi. Non è la prima volta che al cinghialone capitano delle disavventure. Anni addietro era stato "aggredito" su un treno. E, davanti alle telecamere, aveva detto che volevano scaraventarlo giù dal finestrino mentre il treno era in corsa. Ora, non so se si hanno presenti le dimensioni di un finestrino del treno e quelle di borghezio: se qualcuno davvero fosse riuscito a catapultarlo fuori, minimo minimo avrebbe dovuto avere il nobel per la fisica per aver dimostrato che la legge sull'incomprimibilità dei solidi è una balla. In Belgio il cinghialone dietro le sbarre ci è finito per un motivo molto semplice: ha fatto una cosa fuori legge. Cioè, un sindaco aveva vietato una manifestazione, e lui ha manifestato comunque. E l'hanno ingabbiato. Mi sfugge il motivo per cui gridare allo scandalo. Credo, anzi, che un fautore della legalità, quale esso (conosco l'uso dei pronomi, ma dargli dell'egli mi sembra esagerato) è, dovrebbe essere lieto di vedere che le forze dell'ordine fanno il loro dovere. A meno che non creda che un europarlamentare può fare quel che accidente vuole, anche fuori dalla legge. Ancor più curioso è il motivo della manifestazione: contro l'islamizzazione dell'europa. Come se per secoli non si sia cercato di europeizzare e cristianizzare l'africa, fregando tutto quel che si poteva fregare, schiavi compresi. Il tutto in una data mica buttata lì per caso: l'11 settembre. Questa data e questa manifestazione vietata mi fanno tornare in mente le parole di un criptoleghista che per un po' ci ha allietato con le sue teorie sui massimi sistemi. Alloraquando diceva che è stato giusto fischiare, prima di italia - francia, la marsigliese con la motivazione che "i francesi parlano troppo". Si potrebbe osservare che, nonostante gli anni di oscurantismo berlusconiano, parlare non è reato, ma lasciamo stare. Delle due l’una: o il succitato conosceva ad uno ad uno i 65 milioni di francesi che popolano la francia, e allora è un conto. Oppure non li conosceva, e allora dire che i francesi parlano troppo è una piccola molecola di quel razzismo imperante: un francese parla troppo = tutti i francesi parlano troppo = fischiamo l’inno francese; ci sono islamici integralisti e terroristi = tutti gli islamici sono terroristi = ammazziamoli tutti. Peccato che non usino mai la formula: ci sono leghisti teste di cacchio (ci saranno no?) = tutti i leghisti sono teste di cacchio = mettiamoli in condizione di non nuocere. Non è l’unico che ragiona così, purtroppo. Sempre in tema 11 settembre: in tv hanno dato gli stessi filmati dello scorso anno, gli stessi servizi. Ognuno, intervistato, ha detto cosa stava facendo mentre a nuova york succedeva il finimondo, che poi sono le cose che hanno detto lo scorso anno. Dubito che a qualcuno interessi cosa facevo io mentre il mondo cambiava. E allora dico una cosa diversa. Dico di alcune persone che l’11 settembre ci hanno lasciato le penne. Patrick John Lyons. Uno dei pompieri morti sotto le torri. Un nome per tutti gli innocenti che ci sono rimasti. Salvator Allende. Uno per tutti dei 30mila morti accertati del golpe cileno del 1973, iniziato l’11 settembre. Chissà perché di questo 11 settembre non si parla mai. Non se ne parlava neppure prima dell’11 settembre 2001. Che sia perché, per esempio, secondo una testimonianza resa il 22 aprile 1974 da William Colby, direttore della Cia, di fronte alla Sottocommissione dei servizi armati sull’intelligence della Camera dei rappresentanti, l’amministrazione Nixon avrebbe stanziato oltre otto milioni di dollari per le attività della Cia contro il regime del presidente Allende? Zidan Khalif Al-Heed. Un nome per tutti gli iracheni o afgani innocenti morti sotto le bombe o per colpa dei mitra. Un iracheno, che nuova york l’aveva mai vista neppure in fotografia. Morto dopo che un attacco a soldati usa era stato lanciato vicino a casa sua. Soldati americani sono entrati in questa casa e hanno ucciso la famiglia, tra cui il padre, la madre, la figlia che faceva la prima media, e il figlio che soffriva di malattie mentali e fisiche. Un’americana di cui non ricordo il nome, ma che ha detto, in tivvù, una delle cose più sensate che si potessero dire: «Bush crede che tutti gli arabi siano uguali, che siano tutti la stessa cosa. Non è così. Brancoliamo nei buio, uccidendo gli innocenti e senza riuscire a mettere le mani addosso al vero responsabile di quello che è successo». Felix Sanchez. Faceva il broker alle torri gemelle, ma il lavoro non gli piaceva. Si era licenziato la sera del 10 settembre 2001. Il giorno dopo aveva visto in tivù il suo ex ufficio crollare. Voleva tornare a casa sua, a santo domingo, per ricominciare. E’ partito il 12 novembre. Su quell’aereo che si è schiantato su una casetta nel queens. Ecco, magari pensando a queste persone il cinghialone e quelli come lui dovrebbero capire che non si può ridurre sempre tutto a folklore, demagogia, odio razziale. Che a volte bisognerebbe fermarsi un attimo e pensare. Già, ma per pensare bisognerebbe avere un cervello. E non solo le zanne.