piazza alimonda

Non per parlar male dell'italica pubblica sanità...


Partiamo di buon mattino alla volta di un ospedale situato una trentina abbondante di chilometri più a nord. L’erede deve fare una visita oculistica, e la prenotazione dice che dobbiamo andare là (per inciso: è lo stesso ospedale dove sono finito io anni fa, quando avevo disfatto il pandino contro una specie di carro armato. Rompendomi un dito. E un giorno ero lì, con la lastra che mi avevano dato da radiologia. L’avevo data all’ortopedico. Lui aveva iniziato a guardare la lastra e guardare me, guardare la lastra e guardare me. Fino a quando, dubbioso, aveva detto: “Ma lei è la signora Maria Spezzatatene (il cognome non era questo, il nome si), di anni 76, con una spalla fratturata?”. L’avevo solo guardato a mia volta rispondendo: “Veda lei…”). Ci mettiamo dieci minuti buoni a farci considerare dal portiere, troppo impegnato a raccontare a chiunque che un tizio ha baciato la zingara che staziona fuori dall’ospedale a chiedere l’elemosina. “Senta, dobbiamo fare una visita oculistica…”. Lui ci guarda e risponde: “La definizione non è esatta”. Dice proprio così, neppure fossimo lì per fare la Pagina della Sfinge della Settimana Enigmistica. Contrattando arriviamo a capire che si deve andare al terzo piano. Ci inerpichiamo. Fermiamo un’infermiera o quel che è: “No, non dovete venire qui. Dovete andare all’Asl. Sapete dov’è?” Sì, lo so. Ci ho lavorato anni qui “E’ in via Gramsci” Sì, lo so. Ci ho lavorato anni qui “Bisogna andare in macchina” Sì, lo so. Ci ho lavorato anni qui “Ma poi non c’è parcheggio. Bisogna andare in piazza” Sì, lo so. Ci ho lavorato anni qui. Riusciamo ad andare. Ci arriviamo in un attimo: ci ho lavorato anni lì. E troviamo anche parcheggio lì davanti. Entriamo. Cerchiamo, vanamente, un portiere, un usciere, un qualunque bipede parlante in grado di dire dove dobbiamo andare. Trovo prima il posto che il bipede. Aspettiamo. I minuti passano. Non arriva nessuno. Il ragioniere blocca una tizia in camice bianco: “L’oculista? Oggi non viene. Viene il lunedì. Oggi è martedì”. Sì, va bene, ma la nostra prenotazione è per martedì “Guardate, non so cosa dirvi. Chiamate il servizio prenotazioni”. Chiamiamo. C’è un nastro che dice che sono chiusi fino alle 15.30. Ribecchiamo la tizia. Ci dà un secondo numero. Richiamiamo. C’è un nastro che dice che sono chiusi fino alle 15.30. Ri ribecchiamo la tizia. Ci dà un terzo numero. Quello del centralino di un altro ospedale. Ri richiamiamo. Prova a passarci l’interno dei numeri di prima. La blocchiamo. Ci passa il reparto. Passano dieci minuti buoni. Finché qualcuno risponde e prova a ripassarci lo stesso numero. Lo riblocchiamo. Alla fine si parla con qualcuno. Che dice che abbiamo sbagliato noi. Il ragioniere produce un fogliettino che l’altro, dall’altra parte della cornetta, ovviamente non vede. Ma dice che tanto lì il martedì non arriva nessuno. C’è stato un errore. Appureranno. Tante scuse. Arrivederci. Ci richiamo mentre siamo sulla via del ritorno. Quello che parla è euforico: “La vista era per una bambina, vero?” “Si, di tre anni” “Ecco, allora dovevate venire qui. La prenotazione dice che avevate la prenotazione qui e non dove siete andati voi”. Ed enuncia il nome e cognome dell’erede (e fin qui tutto a posto). E la data di nascita: 22 febbraio 2000. Ecco scusa: siamo nel 2008. L’erede ha tre anni. Se mi dici che è nata nel 2000 mi spieghi dove cazzo l’abbiamo tenuta per cinque anni? Attimo di panico (suo, ovviamente): “Ecco, tutto si spiega. E’ stata un’omonimia. Fissiamo un’altra data?” No, grazie. Si prenota in Alto Volta. Sono più organizzati là.