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Post N° 38


Tra le tribù del Sud-Est non era assolutamente insolito che commercianti bianchi, cacciatori o avventurieri rimanessero con la tribù della propria madre e giungessero a essere nominati capi.Sovente mantenevano il nome del loro padre accanto al loro nome indiano. Alexander McGillivray, capo supremo dei Creek, "re dei re" per proprio merito e generale di brigata dell'esercito degli Stati Uniti, era morto nel 1793. Era figlio di un avventuriere scozzese e di una donna mezzosangue che a sua volta aveva un francese per padre e un'indiana dei Creek per madre. La cognata di Alexander McGillivray aveva sposato un commerciante scozzese di nome Charles Weatherford e dalla loro unione erano nati due figli: John e William. Quando il loro padre li mise di fronte alla scelta di vivere tra i bianchi o tra gli indiani, John scelse il mondo dei bianchi e William quella degli indiani. Ben presto, per merito della sua eccellente cultura, divenne capo e membro del consiglio della tribù, con il nome di Aquila Rossa. Mentre i discorsi impregnati di autentico pathos di Tenskwatawa e i numerosi racconti di magia sull'astuto capo lo influenzarono appena, si entusiasmò delle idee di Tecumseh e fu subito disposto a metterle in pratica. Il consiglio della tribù dei Creek gli chiese però conto di questo cambiamento di opinione. Il suo più accanito nemico era William McIntosh, un altro capo dei Creek, che lo scherniva e definiva follie le idee di Tecumseh. Aquila Rossa, incitato dall'inerzia degli altri capi che avevano più sangue indiano di lui nelle vene e che avevano incassato in silenzio il rimprovero furente di Tecumseh "Siete proprio visi pallidi!", ebbe la meglio e circa un quarto della tribù lo seguì. In tutto il territorio dei Creek vi fu una sola sanguinosa rivolta: coloni e piantatori, che si erano stabiliti sulle terre della tribù, più o meno regolarmente, furono assaliti, e fattorie e villaggi furono incendiati. Circa cinquecento fattori avevano perciò trovato rifugio con le loro famiglie e i loro schiavi a Fort Mims, la fattoria fortificata di un mezzosangue di nome Samuel Mims. Qui erano di stanza anche settanta soldati della milizia della Louisiana al comando del maggiore Beasley. Il 29 agosto 1813, alcuni neri scoprirono che il forte era circondato da indiani che si tenevano nascosti nell'erba alta. Beasley non credette ai loro racconti. Il giorno seguente i Creek attaccarono, incendiarono il forte con frecce infuocate e fecero uno spaventoso bagno di sangue, che neppure Aquila Rossa fu in grado di impedire. La notizia di questo massacro provocò un'ondata di indignazione nelle città dell'Est e offrì al governo americano la scusa adatta per incaricare il famoso generale Jackson di annientare i Creek. Jackson era l'uomo adatto per incarichi di questo tipo: non aveva la minima simpatia per gli Indiani e non capiva i loro problemi, inoltre non aveva sentimenti di giustizia ed era un puntuale esecutore anche degli ordini più crudeli. Il suo primo provvedimento fu di mandare in Alabama cinquecento dragoni al comando del colonnello Coffee che seguì, egli stesso poco dopo, con tremila uomini della milizia. Un capo Cherokee di nome Pathkiller, incontrato per strada, lo informò che Aquila Rossa aveva minacciato di morte qualsiasi indiano che non fosse stato dalla sua parte. Jackson attaccò la città di Tallassahatchee, ma Aquila Rossa non era là, ma a Talladega, dove punì alcuni Creek ribelli. Solo minacciando l'impiego della forza, cosa assolutamente vietata, Jackson riuscì a impedire che i suoi uomini, in quanto era scaduto il periodo per cui si erano impegnati, lo abbandonassero. In questo modo riuscì a continuare l'inseguimento di Aquila Rossa e lo raggiunse ad un'ansa a ferro di cavallo del fiume Tallapoosa. Ma il capo indiano, informato dalle sue spie del sopraggiungere di Jackson alle sue spalle, era ben preparato e impegnò Jackson in numerose scaramucce, tanto che questi si ritirò. Silenziosi i Creek lo seguirono, attendendo l'occasione opportuna per l'attacco. Il generale, infuriato per la ritirata, riuscì però a cavarsela senza ulteriori perdite. Per quell'uomo ambizioso e privo di scrupoli furono una magra consolazione gli analoghi insuccessi di altri generali. Uno di loro era il generale Clairbome che aveva attaccato il villaggio di Aquila Rossa e lo aveva dato alle fiamme, mentre i suoi soldati avevano persino costretto il capo indiano a salire su uno spuntone di roccia a picco sul fiume e l'avevano circondato. La situazione di Aquila Rossa sembrava senza via d'uscita, ma riuscì a salvarsi con un tuffo spericolato nell'acqua e fuggì. Nel marzo del 1814, Jackson partì di nuovo per il quartier generale dei Creek insorti, sul fiume Tallapoosa, con cinquemila soldati della milizia, affiancati da un reggimento di fanteria e da truppe alleate indiane al comando del mortale nemico di Aquila Rossa, William McIntosh. I guerrieri di Aquila Rossa si erano trincerati sull'ansa del fiume, a forma di ferro di cavallo, che formava una penisola. Per togliere loro ogni possibilità di ritirata, gli americani sottrassero la maggior parte delle canoe e Jackson proibì ai suoi soldati e ufficiali di fuggire prima di aver sconfitto il nemico, pena la morte. La battaglia cominciò con il bombardamento delle fortificazioni che però fallì a causa della distanza eccessiva. I tiratori scelti dei Creek uccisero subito gli artiglieri che si avventuravano troppo avanti. Per tutto il pomeriggio infuriò la battaglia e, con strabiliante combattività, i Creek si opposero alla soverchiante superiorità del nemico. Con l'aiuto dello stregone, Aquila Rossa aveva imparato ad incitare i suoi guerrieri a tal punto che erano disposti a combattere fino all'ultimo uomo, contrariamente alle loro abitudini. Verso sera la loro situazione divenne disperata. Jackson fece lanciare contro le fortificazioni indiane frecce infuocate e, nel caos provocato dall'incendio, fece una strage di inaudita crudeltà. Al tramonto, settecentocinquanta guerrieri giacevano sul campo di battaglia o sul fondo del fiume. I pochi sopravvissuti erano quasi tutti feriti. Con enorme delusione di Jackson, Aquila Rossa non era ne tra i morti, ne tra i feriti; il capo infatti non si era aspettato un attacco così presto e quel giorno si era recato a ispezionare altri punti fortificati, quindi durante la battaglia non era presente. Jackson, fuori di sé, ordinò di cercarlo e di riportarlo in catene al suo cospetto. La ricerca fu vana. Poi però accadde qualcosa di inatteso: qualche giorno dopo la battaglia un uomo solo si presentò al quartier generale di Jackson. Con grande sorpresa del generale, era lo stesso Aquila Rossa che così si presentò davanti a lui:Vengo per arrendermi. Non posso oppormi a lungo a te. Ti ho arrecato molti danni e potrei arrecartene altri, ma i miei guerrieri sono morti. Sono nelle tue mani, fa di me ciò che vuoi! Persino quel rozzo mercenario di Jackson rimase sorpreso da una simile temerarietà e rispose: Non sei nelle mie mani. Avevo ordinato di portarti davanti a me in catene. Ma tu sei venuto spontaneamente. Sarei felice di risparmiare te e il tuo popolo, ma tu non mi chiedi di essere risparmiato. Se pensi che potresti ancora sostenere una lotta con me, vai e mettiti a capo dei tuoi guerrieri. L'ultima frase aveva un chiaro tono di scherno, ma Aquila Rossa rispose con la sua tipica inconfondibile fermezza:Per te è facile rivolgermi queste parole. Ci fu un tempo in cui avrei potuto risponderti, poiché allora avevo una scelta. Ora non l' ho più. Non ho più speranza. Un tempo potevo incitare i miei guerrieri alla lotta, ma non posso incitare i morti. Le loro ossa marciscono a Talladega, Tallassahatchee, Emuckfau e Tohopeka. Se solo ci fosse stata anche un'unica possibilità non avrei lasciato il mio posto e non avrei chiesto la pace. Ma il mio popolo è annientato e io non chiedo per me, ma per il mio popolo. Ti prego di lasciar venire da te quelle donne e quei bambini dei miei guerrieri che si sono rifugiati nei boschi e patiscono la fame. Non hanno mai fatto nulla di male! Uccidi me, se voi bianchi lo desiderate.Guardo indietro con profondo dolore e voglio evitare disgrazie peggiori. Sei un uomo coraggioso, conto sulla tua generosità. Non porrai condizioni inaccettabili per la mia tribù vinta. In ogni modo sarebbe pura follia non accettarle. Se qualcuno di loro si porrà contro, io stesso farò rispettare l'obbedienza con estrema severità... Hai detto al mio popolo dove possiamo andare e dove saremo al sicuro. Queste sono buone parole che loro devono assolutamente ascoltare. E le ascolteranno! Questo magnifico discorso non mancò di ottenere l'effetto desiderato. Jackson promise di aiutare le donne e i bambini se Aquila Rossa desiderava mantenere la pace in futuro. Sotto gli occhi dei soldati ammutoliti per lo stupore, il capo indiano lasciò l'accampamento e scomparve. Mantenne la parola. John Ried, aiutante di Jackson, fu testimone di questo incontro e lo ha riferito in ogni particolare. Sul capo dei Creek scriveva:Aquila Rossa era il più importante personaggio che il mondo indiano potesse presentare. Aveva una mente multiforme, un cuore eroico e intelletto acuto che sono la premessa indispensabile per la personalità di un grande condottiero. Aquila Rossa viene descritto come un uomo bello, molto dotato e dal grande temperamento; d'altra parte viene anche dipinto come un despota vigliacco e dissoluto, circondato da schiavi e cortigiani, ai lati del suo trono, che aveva vissuto in una magnifica proprietà e che i suoi sottoposti potevano avvicinare solo in ginocchio e che faceva continue orge con le sue amanti. È tutto da verificare se si debba far armonizzare tutto ciò con il nobile carattere appena descritto o se si tratti invece semplicemente del risultato di una campagna diffamatoria ad opera dei suoi nemici pieni di odio. Il governo americano non pensò affatto di mostrare la benché minima traccia di larghezza di vedute ed estorse un vergognoso trattato che toglieva le terre non solo ai Creek nemici, ma anche a quelli che avevano combattuto a fianco degli americani contro i loro stessi fratelli. Nel luglio 1814, Jackson incontrò -alla famosa anta a ferro di cavallo (Horseshoe Bend)- i rappresentanti di quel popolo disperato e affamato. Si rivolse loro con tono canzonatorio, chiamandoli "amici e fratelli" e pretese da loro, come risarcimento per i costi di guerra degli USA, ventitre milioni di acri della Georgia. Non cedette di un millimetro su questa richiesta e, sottoposti a pesanti minacce, i due capi indiani, Big Warrior e Shelokta, dovettero firmare il trattato.