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Post N° 40


Il nome di Castoro Nero compare la prima volta come firmatario, insieme ad altri, di una lettera che il capo Anderson e Natcoming indirizzarono - nel febbraio del 1824 - al generale Clark. In questa lettera viene descritta chiaramente la situazione in cui si trovavano, all'epoca, i Delaware e, nel cui contesto, Castoro Nero doveva vivere la sua gioventù:La scorsa estate molti dei nostri morirono, perché non avevano nulla da mangiare....Noi siamo arrivati in un paese in cui non abbiamo trovato nulla di quanto promessoci... e non abbiamo ricevuto nulla di quanto ci spettava e che ci era stato promesso con il trattato di Saint Marys. Padre! Non abbiamo creduto che questi grandi uomini ci avrebbero detto cose non vere. Abbiamo trovato un paese desertico, collinoso e pietroso e la cosa peggiore è che non vi è selvaggina che potremmo abbattere. L'anno scorso il raccolto prometteva bene, finché non arrivò una pioggia violenta e, dopo tre o quattro giorni, l'acqua era così alta che, in alcuni campi, a stento si potevano vedere le cime delle spighe; la maggior parte del nostro raccolto di cereali, zucche e fagioli andò distrutto. Molti appartenenti alla mia tribù ci raggiunsero e fummo costretti a dividere con loro le nostre già scarse provviste. L'estate scorsa vi erano alcuni caprioli e alcuni maiali selvatici, ma fummo costretti ad ucciderli tutti e anche della selvaggina che non ci apparteneva, ma quest'estate non c'è più nessun tipo di selvaggina..-e la mia gente e i bambini devono soffrire. Padre!. Sai quant'è duro quando si soffre la fame e se tu non dovessi saperlo, noi indiani lo sappiamo bene. In gioventù Castoro Nero trascorse alcuni anni sulle Montagne Rocciose, dove ben presto si fece un nome come cacciatore e in particolare per le sue capacità di seguire le tracce.In quel periodo acquisì un'eccezionale conoscenza dei luoghi, il che lo portò a prender parte a quasi tutte le spedizioni attraverso il continente in qualità di scout e di interprete. Divenne inoltre famoso quando riuscì a realizzare un importante incontro tra gli Americani e i Comanche, i Kiowa e i Wichite. Questo incontro ebbe luogo nell'anno 1834 sul Red River; il rappresentante degli Americani era il colonnello Richard Dodge e Castoro Nero gli fece da interprete. Questo gli fece acquisire tali meriti che da quelmomento rimase stabilmente al servizio del governo americano che lo impiegò come scout e come interprete soprattutto nelle praterie del Sud. Quando, nel 1846, scoppiò la guerra contro il Messico, Castoro Nero mise insieme una compagnia di scouts - composta da bianchi e pellirossa - per il generale Harney. Nel 1849 si fece particolarmente onore quando, diventato nel frattempo capitano dell'esercito americano, insieme al capitano Marcy, portò a destinazione, senza danni, una grande carovana di coloni e di cercatori d'oro da Fort Smith, in Arkansas, fino in California. In seguito venne spesso citato in modo lusinghiero nei rapporti ufficiali e nelle cronache di numerose spedizioni. Guidò e accompagnò gruppi di rilevamento, spedizioni scientifiche e militari e assistette - con parole e fatti - i rappresentanti indiani nelle trattative. Nel giugno 1851 aiutò il capitano Stevenson nella costruzione di Fort Beiknap in Texas e prese parte a numerose incursioni contro gli indiani, tra cui a una spedizione contro i Comanche nel 1854. Un anno prima il luogotenente Whipple dovendo uscire da Fort Smith per verificare il percorso migliore per il tracciato della ferrovia transcontinentale in progetto, cercò di assicurarsi, come scout per la sua spedizione, il famoso capo delaware. Dell'incontro parla Heinrich Balduin Mòlihausen, che accompagnava la spedizione (divenuto - più tardi - famoso scrittore di libri di avventura) nel suo Migrazioni attraverso praterie e deserti dell'Ovest del Nord America: Castoro Nero e John Bushman, il suo vicino, si erano guadagnati da ogni parte fama come capi guerrieri e per questo la nostra spedizione che avrebbe fatto sosta a Fort Arbukie si era prefissata di fare tutto il possibile per indurre almeno uno dei due a prendervi parte. Quando i primi della nostra spedizione giunsero nel grande cortile e chiesero di Castoro Nero a donne e bambini sdraiati al sole, fu loro indicata la capanna più piccola, dove - sotto un semplice portico - sedeva un indiano, a gambe incrociate, che aspettava la visita fumando tranquillamente. Era un uomo magro, di taglia media, i cui lunghi capelli neri incorniciavano un viso intelligente, con una cupa espressione di dolore e malattia, nonostante egli non dovesse avere più di quarant'anni. L'arrivo di stranieri non turbò minimamente la sua calma esteriore: tuttavia la facilità e la disinvoltura con cui si comportò dimostravano ampiamente che doveva esser stato molte volte in contatto con i bianchi. Parlava correntemente inglese, spagnolo e francese e forse otto diverse lingue indiane. Dopo i primi convenevoli e i saluti, a Castoro Nero fu fatta l'allettante proposta di viaggiare con loro fino all'Oceano Pacifico. Per un attimo gli occhi dell'indiano si illuminarono dell'abituale entusiasmo, ma quando rispose aveva assunto nuovamente un'espressione cupa: «Per sette volte sono andato in sette diverse località dell'Oceano Pacifico; ho accompagnato gli Americani nel corso di tre guerre e dalle mie spedizioni di caccia ho riportato più scalpi di quanti uno di voi possa sollevarne in una sola volta; io vorrei vedere per l'ottava volta la grande acqua salata, ma sono malato. Mi offrite più denaro di quanto mi abbiano mai offerto, ma non posso venire, sono malato; non sono in miseria perché il mio negro si occupa degli scambi e i miei parenti lo aiutano: se venissi con voi morirei e se devo morire, voglio essere sepolto dai miei». Nessun discorso e nessuna offerta poté servire; l'indiano rimase sulla propria decisione che derivava dall'idea che questo viaggio sarebbe stato la causa della sua morte. Sembrava che questo pensiero venisse da sua moglie che giocava un po' con il suo unico figlio e un po' con un giovane orso bruno e contemporaneamente rivolgeva al marito malato alcune parole, per noi del tutto incomprensibili. Mostrava di non volerlo lasciar partire, prevedendo che se si fosse messo in viaggio non sarebbe tornato per molto tempo. Facendo astutamente leva sulla sua malattia gli aveva parlato di tali e tanti presentimenti e sogni negativi che, infine, ogni gaiezza e forza d'animo avevano del tutto abbandonato l'esausto guerriero che, ormai, usava le sue armi solo per macellare gli animali domestici necessari al suo sostentamento. Passarono tre giorni di inutili tentativi per sottrarre Castoro Nero all'influenza dei suoi: La sera era convinto che - una volta tornato nel suo elemento - sarebbe guarito e rientrato in possesso di tutte le sue forze e quindi quasi deciso a seguirci nelle praterie, il mattino successivo ripiombava nella sua cupa testardaggine. Non rimase quindi altro da fare che utilizzare il tempo rimasto per ascoltare i consigli di quel saggio indiano per poterli, più tardi, mettere in pratica. I consigli di Castoro Nero non si limitavano alla descrizione del percorso ma prendevano in considerazione anche i pericoli di quei luoghi selvaggi, come indiani nemici e animali feroci. Le Gold Mountains nel Nuovo Messico, davanti alle quali passa la vostra strada, sono ancora piene di orsi grigi (Ursusferox Lewis-Clark); evitate di aggredirli se non siete in due o più. Chi vede per la prima volta questo gigantesco tipo di orso può perdere la calma necessaria: mancherà il bersaglio e verrà raggiunto dal sapiente tocco degli artigli del suo furente nemico che gli toglierà, in eterno, la voglia di andare a caccia. Quando l'orso è infuriato cambia completamente aspetto, le orecchie scompaiono, i piccoli occhi sprizzano fuoco e si pensa di non vedere altro che lampi e denti e la sua velocità supera quella di un cavallo. Alcuni anni fa quando attraversai le Montagne Rocciose con numerosi bianchi, avevo con me un cacciatore, inesperto di questo tipo di caccia, che dichiarò ad alta voce che avrebbe attaccato il primo orso grigio che avesse incontrato. Mantenne la parola, ma può dirsi fortunato per essersi salvato e sono convinto che alla prossima occasione ci penserà due volte prima di aggredire un simile animale in modo tanto veloce e insensato. Avevamo deciso, per far riposare i nostri cavalli, di accamparci per la notte su un piccolo prato ai piedi di una montagna e dovevamo fare più di cento passi per raggiungere una sorgente e portare con un tubo l'acqua necessaria alla nostra semplice cucina. Per questo ero andato al torrente con il giovane e piuttosto inesperto cacciatore e quando stavamo per attingere l'acqua dal limpido ruscello, ci accorgemmo di uno di quegli orsi grigi che, forse attirato dai nostri cavalli, si avvicinava all'accampamento. Io avevo nella cintura solo una pistola dei Dragoni mentre il mio giovane compagno aveva preso il suo fucile. Contro il mio parere si avvicinò per aver sotto tiro quel gigantesco "buontempone" che si avvicinava rapido come il vento e si mise davanti a lui. Io osservavo entrambi da vicino. Partì il colpo, l'orso si ripiegò su se stesso, ma immediatamente si gettò all'inseguimento dell'infelice tiratore che tentava di fuggire; a pochi passi da me l'orso raggiunse la sua vittima, la gettò a terra e con i suoi terribili denti gli strappò metà spalla. Quando stava per afferrarlo nuovamente, saltai dietro di lui, gli misi la bocca della mia pistola sulla nuca e malgrado il rischio di ferire chi stava a terra, feci fuoco; l'orso cadde morto, il mio compagno era salvo, ma il suo stato era tanto miserando che ci vollero parecchie settimane perché potesse montare di nuovo a cavallo. Castoro Nero poté dar buona prova di sé anche durante la guerra civile americana: nel 1861 riuscì a portare in salvo le guarnigioni dell'Unione dei forti Smith, Washita, Arbuckie e Cobb, e a condurli, attraverso un territorio selvaggio, a Fort Leavenworth. Neppure lui fu però risparmiato dalle conseguenze negative della guerra: quello stesso anno le truppe dei Confederati distrussero la sua casa sul fiume Washita. In quell'occasione bruciò nell'incendio la copia del famoso trattato di Shakamoxon - stipulato tra la sua tribù e William Penn nel 1682 - che custodiva come un prezioso tesoro. Nell'anno 1867 si tenne una riunione a Medicine Lodge, nel Kansas, a cui presero parte le tribù indiane Cheyenne, Arapaho, Comanche, Kìowa e Apache, che avrebbe dovuto contribuire a portare una pace duratura nelle praterie e nelle pianure. A quest'ultimo sfarzoso "vertice" a cui le tribù della pianura si presentarono con tutto il loro orgoglio e tutto il loro tripudio di colori, erano presenti alcuni famosi scouts, tra cui il "grande vecchio" Castoro Nero. Con lo sguardo torvo e il viso impenetrabile, seguì le trattative, in cui i negoziatori ripetevano le stesse frasi e facevano le stesse promesse che per più di ottant'anni i Delaware avevano dovuto ascoltare in quasi cinquanta negoziati. Malgrado tutti i trattati i Delaware erano stati continuamente cacciati e perseguitati, perché per gli indiani delle pianure avrebbe dovuto essere diverso? Dopo la riunione del 25 giugno 1872, a cui parteciparono esclusivamente gli Indiani, ebbe luogo un altro incontro con i rappresentanti del governo americano, questa volta a Leepers Creek, nei pressi dell'agenzia di Washita. Castoro Nero fu nuovamente portato come intermediario. Un reporter del «New York Herald» racconta che lo scout, un "uomo vecchio con i capelli bianchi", sedeva all'estremità della schiera dei capi. Comanche e Kiowa si rifiutavano di vivere nelle riserve, quindi la riunione terminò senza risultati tangibili. Castoro Nero sapeva, dopo la triste esperienza del suo stesso popolo, che tutto ciò significava soltanto un rinvio di qualche anno. Naturalmente le opinioni su Castoro Nero tra gli indiani erano assai diverse:per alcuni era considerato un uomo saggio, per altri un traditore. La stima che gli americani nutrirono per il saggio Delaware era incontestabile ed è dimostrata dal fatto che un ufficiale americano, il maggiore Vore, scrisse la biografia di Castoro Nero.