so fare le pizze

a sud di nessun nord 2


Noi non sappiamo più chi fummo. Ed è accaduto come agli ebrei travoltidall’Olocausto (il paragone non è esagerato: centinaia dimigliaia,forse un milione di meridionali furono sterminati dalle truppe sabaude;da tredici a oltre venti milioni, secondo i conteggi, dovetteroabbandonare la loro terra, in un secolo): molti scampati ai lagercominciarono a domandarsi se il male che li aveva investiti non fossein qualche modo meritato. Quando il danno è intollerabile, cercare unacolpa, pur assurda, inesistente, che lo renda comprensibile (nongiustificabile), diventa una via per non perdere la ragione. Lo storicoEttore Ciccotti parlò di «una specie di antisemitismo italiano» neiconfronti degl’italiani del Sud. La Lega, espressione di unnazionalismo locale comico, se non fosse tragico, ne è lamanifestazione più sincera.Ed è accaduto che i meridionali abbianofatto propri i pregiudizi di cui erano oggetto. E che, per un processod’inversione della colpa, la vittima si sia addossata quella delcarnefice. Succede quando il dolore della colpa che ci si attribuisce èpiù tollerabile del male subìto.                  Così,laresistenza all’invasore, agli stupri, alla perdita dei beni, dellavita, dell’identità, del proprio paese, è divenuta“vergogna”. Solo ora,dopo un secolo e mezzo, le famiglie meridionali che ebbero guerriglierie patrioti combattenti cominciano a recuperare l’orgoglio dei propriavi, tutti etichettati come“briganti” dall’aggressore (naturalmente, ilfenomeno porta all’immeritato riscatto morale pure di chi era brigantee basta. Di malfattori ce ne furono altri: mafiosi arruolati daGaribaldi e piemontesi; ma vennero detti “buoni italiani”. Criminalenon è quel che fai, ma per chi lo fai). Un giorno calcolai quanti mieifamiliari, da parte di padre e di madre, sono emigrati (i pugliesifurono gli ultimi a partire): uno ogni due.              Una miacugina, dopo sei mesi al Nord, tornò per le ferie estive (come alcunivolatili, il periodico riapparire degli emigrati annuncia le stagioni:li chiamavano birds of passage, “uccelli di passaggio”, nell’Americadel Nord; e golondrinas, “rondini”, in quella del Sud). Era cambiata:vestiva in modo più appariscente, esibiva un accento non suo, roteavastizzosamente le spalle, il mento puntuto e alto. Parlava malissimo deimeridionali, con astio rovente e ridicolo. «Ma cosa fanno di cosìterribile?» le chiese mia madre, incuriosita.Lei tacque per lostupore, si guardò intorno, come a cercare una risposta. Era sorpresa,o ci parve, dalla stupidità della domanda: c’era bisogno di una ragioneper parlar male dei meridionali? Così, poverina, se ne uscì con unafrase, lei settentrionale da sei mesi, che la bollò per sempre, infamiglia:«Sporcano i monumenti». Come i piccioni; ma, per fortuna, nondall’alto. Cosa le fosse accaduto, lo capii molto più tardi.           Uno dei miei migliori amici fu tra i primi arrivati della Lega Nord:abbiamo scoperto di avere la stessa passione per la vela, di averacquistato (prima che ci conoscessimo) le stesse barche, di avere unamoglie con lo stesso, non comunissimo nome, e di averla sposata lostesso giorno. Il mio amico si chiama (nooo!) Remo, i suoi nonni sonodi Benevento e di Matera; lui è vissuto a lungo in Argentina, poi èrientrato in Italia. Sua moglie è veneta, emigrata dal Polesine inFrancia (l’isola di famiglia, alla foce del Po, finì sommersa,confattorie e frutteti: da possidenti a naufraghi); poi è tornata inpatria, fra Piemonte e Lombardia.Leghisti accesi entrambi, fino aquando il movimento non assunse connotazioni separatiste. «La Lega èpiena di meridionali e di figli di meridionali» mi spiegava Remo.«Sonoi più convinti.» Anche quella mia cugina è leghista.Perché? Chi emigra,abbandona una comunità e una terra che figurano deboli e perdenti emira a radicarsi in un altrove che appare forte e vincente: l’emigratonon appartiene più alla sua gente, e non ancora all’altra (così crede).In cerca di identità, non può che scegliere, lui sradicato e sospeso,la più forte. E questa sua nuova appartenenza è tanto più certa, quantomaggiore è la distanza che frappone fra ciò che era e ciò che vuoleessere (in La lingua degli emigrati, si legge che essi «rivivono nelpaese di arrivo la loro situazione di “dominati” in termini ancor piùdrammatici»; e vogliono uscirne. Si educano ad altro da quel che sono.Quando il carnefice ti toglie tutto, l’unico punto di riferimento cheti rimane è il carnefice. Lo imiti). Il settentrionale non ha bisognodi essere leghista; il meridionale al Nord non può farne a meno, se discarsa radice. Ed è il più attivo nel sostenere un’esclusione che nonescluda più lui, ma chi è come lui era. I prossimi leghisti saranno inipoti degli extracomunitari. «Ma dubito» avverte PieroBocchiaro,studioso di comportamenti psico-sociali alla VrijeUniversiteit diAmsterdam, «che quel che viene mostrato corrisponda a quel che si è.»Come dire: quello dell’emigrato che sposa nuovi costumi è un fare chenon corrisponde all’essere; un vivere doppio; non sempre consapevole.Serve rivangare vecchie storie? Non sono così vecchie da aver smesso difar male e produrre conseguenze: la storia di oggi è ancora quella diieri. La nostra fu interrotta e si può riannodarla solo nel punto incui venne spezzata. Non si può scegliere la ripartenza che piùconviene. Quel che gli italiani venuti dal Nord ci fecero fu cosìspaventoso, che ancora oggi lo si tace nei libri di storia e nelleverità ufficiali; si tengono al buio molti documenti che lo raccontano.Una parte dell’Italia, in pieno sviluppo, fu condannata a regredire edepredata dall’altra, che con il bottino finanziò la propria crescita eprese un vantaggio, poi difeso con ogni mezzo, incluse le leggi. Laquestione meridionale, il ritardo del Sud rispetto al Nord, non resiste“malgrado” la nascita dell’Italia unita, ma sorse da quella e duratuttora, perché è il motore dell’economia del Nord. Né una sostanzialee improbabile restituzione del maltolto riporterebbe le cose com’erano:perdita di fiducia e civiltà provocata nel Sud dalla potatura deimigliori, con le stragi e l’emigrazione, non è recuperabile in tempibrevi. Certi processi storici e sociali non possono essere invertiti acomando; quello economico forse, sì. Volendo.Ma non si vuole.             E i difetti dei meridionali, ne vogliamo parlare? No. Almeno qui, no,visto che del Sud si elencano sempre e solo quelli. Il collega LinoPatruno (Alla riscossa terroni) ne enumera trentadue; ha ragione ecredo si possa arrivare a sessantaquattro. Lo scopo di Patruno èonesto: indurre i meridionali alla responsabilità. Ma comincio a temereche su questo si sia tutti d’accordo; mentre i settentrionali siritengano esentati dal fare altrettanto. Così ho stabilito unapersonale moratoria: centocinquant’anni bastano; per i prossimidiciannove mesi, anzi ventuno, voglio sentire parlare solo dei difettidei settentrionali. Perché ogni pecca del Mezzogiorno devegiustificarne la discriminazione, la minorità, e ogni pretesa del Nord,persino sfacciatamente razzista, è intesa come diritto? Perché ognivolta che si parla dell’Italia duale si ignora il meglio del Sud e ilpeggio del Nord? E dire il meglio del Sud risulta non credibile, direil peggio del Nord è un affronto? «La memoria è di parte, come parzialeè lo sguardo su cui si fonda» rammenta Walter Barberis (Il bisogno dipatria). «Ma la truffa Parmalat vale, da sola, più che tutte quelle diNapoli, di tutti i tempi, messe insieme» dice il sindaco che rinnovòBari, Michele Emiliano. E passano come incidenti di percorso letruffe-latte difese dalla Lega, quelle colossali della sanità lombarda,dai Poggi Longostrevi alle cliniche della morte, gli sfrenati intrecciaffaristici di Comunione e Liberazione...«La corruttela politicanostra non è male meridionale più che non sia settentrionale, e non èin essa che si deve cercare il vero carattere distintivo delle opposteparti d’Italia» (EttoreCiccotti, Mezzogiorno e Settentrione d’Italia,1898).La Germania Ovest, già nei primi anni di riunificazione conla più povera Germania Est, spese, nei territori orientali, «una cifracinque volte superiore a quella che è costata in questi cinquant’annila vituperata Cassa per il Mezzogiorno» (Se il Nord,Agazio Loiero); eogni anno vi investe quanto gli Stati Uniti, con il Piano Marshall,inviarono dopo la guerra, per la ricostruzione dell’intera Europa. Eral’unico modo per far confluire la ricchezza dell’Ovest dall’altraparte, sino a pareggiare il livello, in vent’anni. Lì si volle; e il dipiù dell’Ovest non era stato rubato all’Est. Quando una differenza duracosì a lungo, si rischia di non attribuirne più le ragioni alle causeche l’hanno generata e la mantengono, ma all’insufficienza di chi lapatisce.             Così, l’ignorante per ignoranza, il colto percattiva coscienza, il razzista per ignoranza e cattiva coscienza,trovano più comodo spiegare il sottosviluppo economico dei neri conl’inferiorità della “razza”. Lo si diceva dei lombardi, quando la lororegione era tenuta dagli austroungarici solo come area di consumo dibeni prodotti altrove. Il Nord era nella condizione di colonia cui fucondannato il Sud dopo l’annessione e il saccheggio: è quel «chel’economia capitalistica fa a’ vinti nella lotta della concorrenza»(ancora Ciccotti).Anche allora si indagò sugli effetti, per nonriconoscerne le cause. E si cercò di capire perché il lombardo fossecosì incapace, inefficiente, «in una parola, nullo», secondo lasociologa Cristina Belgioioso, autrice dell’indagine sulla pochezza dei«padani» (fra i quali, Cesare Lombroso condusse la ricerca sul«cretinismo perfetto»): i Bossi, i Calderoli e i Gentilini non nasconodal niente. I “Lombardi”,come venivano chiamati tutti gli italiani delNord, erano giudicati dai francesi “vigliacchi e incapaci”. LaLombardia «era troppo piccola per alimentare un sufficiente mercatointerno di scambio, e troppo debole per praticare una politica diespansione industriale fuori dei suoi confini, qualunque fosse l’aiutodello stato» scrive Luigi De Rosa, in La rivoluzione industriale inItalia. «Non molto migliori risultavano le condizioni industriali delVeneto, e così quelle della Liguria.» Il Sud fu unito a forza, svuotatodei suoi beni e soggiogato, per consentire lo sviluppo delNord.                  Cominciarono allora a sorgere fermentifederalisti lombardi: «Quelli che parlano di uno “stato di Milano”, percontrapporlo al resto d’Italia» avvertiva Ciccotti, fanno l’errore dicredere «che Milano sarebbe divenuta qual è senza l’unità d’Italia»; e«hanno bisogno di dissimularsi le vere cagioni del male, per vivere de’frutti del mal di tutti, facendo della diversa lingua o del diversodialetto e delle diverse latitudini tante ragioni di dissidi». Viverede’ frutti del mal di tutti: fare stare tutti peggio, per star megliosoltanto loro, con la scusa del federalismo.Si chiama rubare. Ed era un secolo fa.            Rammentola conversazione con un collega che stimo, milanese pratico edi successo. Il tema, visto da Nord (lui), si riduceva a: «Invece dilamentarsi sempre, i meridionali potrebbero darsi una mossa»; e vistoda Sud (me): «Invece di continuare a spiegarsi il ritardo del Sud conl’insufficienza dei meridionali, il Nord potrebbe interrogarsi un po’di più sulle cause e non crearne di nuove». Mark Twain diceva che«siamo tutti esseri umani. Non è possibile essere qualcosa di peggio».Da noi, qualche tentativo di dargli torto c’è stato. Salimbene daParma, ricorda Barberis (Il bisognodi patria), stimava la viltà deimeridionali congenita, perché«homines caccarelli et merdacoli». E peruno dei fondatori del Partito socialista, il bolognese CamilloPrampolini, gli italiani si dividono in «nordici e sudici». Uno“scienziato”, poi, confermerà la correttezza della definizione, per«questi degenerati che abborrono l’acqua in terra e in mare, che nonpossono giustificare la loro immensa sporcizia colla immensa miseria incu iil destino li ha fatti nascere». E si capisce che, fosse stato luiil destino, non li avrebbe fatti nascere.               Ma il destino non si cambia e persino lo si merita (o no?). Sorge ilsospetto che, dopo aver fatto l’Italia con il furto e il sangue,bisognava giustificare il modo. «In quegli anni» leggi in La razzamaledetta. Alle origini del pregiudizio antimeridionale, di Vito Teti«il dibattito sulla razza e sull’inferiorità del Mezzogiorno vennecondotto in una infinità di saggi, libri, articoli, interventi, ariprova di come esso non rispondesse a una moda, ma a esigenzeconoscitive, cariche di un’urgenza politica, sociale, culturale.» La“scienza” lombrosiana (nata da un soggiorno del suo fondatore di solitre mesi in Calabria: un genio da far impallidire Darwin) avrebbeportato alle attese conclusioni.Così (in ritardo, ché mio padre nonmi aveva detto niente: o non se n’era accorto o volle risparmiarmi unavergogna di famiglia), appresi di appartenere a una “razza maledetta”;e seppi che era dimostrata, con «i fatti»,l’inferiorità «razziale,fisica e psicologica, sociale e morale degl’italiani del Mezzogiorno,rispetto agli italiani del Settentrione». Facevo veramente schifo e miera toccato scoprirlo da solo: era meglio quando, con i soldi di tutti,aprivano scuole solo al Nord (l’ha fatto qualcun altro, primadell’apparente ministro dell’Istruzione Mariastella Gelmini), perché,se i terroni imparano a leggere, possono farsi del male. Che ne sapevoio, di essere, in quanto meridionale, parte di una sottospeciedi«degenerati, barbari, degradati, ritardati»? E, in trasfertaall’estero, per emigrazione (e che altro, se del Sud?),solo«delinquenti»? Persino in presenza di genio, trattasi di «genialitàmalata o infeconda» (Pasquale Rossi).               E un’intera regione, la Calabria, riassunto di tutto il Sud, potevaessere indicata come «luogo di epilettici-degenerati, di popolazionisuperstiziose, tendenzialmente, per caratteri razziali e temperamentoetnico,criminali». Come vi sentireste, voi, voi euganei, valdostani obrianzoli, o anche solo marchigiani, persino soltanto molisani, sescopriste una cosa del genere non prima, ma dopo aver sposato unacalabrese (ignari di indizi rivelatori, quali «la fronte declive eildiametro bimandibolare accentuato»)? Mettermi in casa una della regione«più odiata d’Italia»! E la poveretta di mia moglie mi avrebbe evitato,se avesse conosciuto lo “studio” che “certificava” (“scientificamente”,e si capisce) l’ozio, l’indolenza, l’apatia, l’accidia dei pugliesi?Per una parte non breve della mia vita, mi sono aggirato per questopaese, inconsapevole della classificazione craniologica, secondo laquale le teste dolicocefale del Sud erano chiaro indice di inferiorità,rispetto alle capocce brachicefale che testimoniavano la superioritàdei settentrionali. Di Borghezio, avete presente? O Renzo Bossi (tuttopapà suo), l’intellettuale che riesce a diplomarsi in appena quattrotentativi; dopo di che, per frenare la fuga dei cervelli dall’Italia ilNord l’ha incaricato di “vigilare” sul sistema fieristico lombardo. Imeridionali, per Massimo D’Azeglio, erano «carne che puzzava» (lastoria tace sul suo alito). Ma si è sempre i meridionali di qualcuno.Ed è un guaio,perché vuol dire che chi stila graduatorie finisce inquelle di altri. E perché si fanno le classifiche, a cosa servono?          A degli studenti-cavia, volontari, si chiese di sopprimere, pigiando unbottone, esseri viventi, secondo una scala di prossimità biologica allaspecie homo sapiens sapiens. Era tutto finto: non moriva nessuno; maloro non lo sapevano ed erano convinti di uccidere, in un crescendoomicida, microbi, insetti, invertebrati, pesci, uccelli, serpenti,topi, gatti, cani, scimmie... Alcuni si fermarono agli uccelli; altritrovarono intollerabile accoppare gatti o cani, solo per unesperimento; ci fu chi rifiutò di proseguire solo quando gli fu chiestodi eliminare le scimmie; e chi eseguì anche quel comando. Unesperimento analogo fu compiuto con esseri umani nel ruolo di“vittime”. A studenti-cavie fu chiesto di infliggere scaricheelettriche sempre più pericolose. Erano fasulle, ma non lo sapeva chiazionò la manopola sino all’ultimo giro. La scienza, il progresso, laciviltà richiedono qualche sacrificio, e si trova sempre qualcunodisposto a farlo fare ad altri.          Anche fra gli esseri umani sono state fatte graduatorie: schiavi,servitori e padroni; poveri e ricchi; negri, sangue-misti e bianchi;meridionali, terroni nordicizzati e settentrionali...Di nuovo: acosa servono le classificazioni? Gli studenti cavia ci hanno dato larisposta: a stabilire chi deve soffrire o morire prima, “per il bene ditutti”(cioè di quelli che hanno deciso a chi tocca prima). Leclassifiche sono la giustificazione necessaria, perché questo avvengasenza rimorso, “per una buona ragione”. Napoleone Colajanni ricordavaquegli «antroposociologici che, per vedere progredire e migliorarel’umanità, vorrebbero distruggerne almeno una buona metà».          Hitler ci provò. Ma quando avviò lo sterminio dei minorati mentali, laGermania insorse e persino la ferocia nazista dovette desistere per leproteste popolari. Le vittime designate erano minorati, ma ariani.Quando si fece la stessa cosa con gli ebrei e gli zingari, la Germaniatacque.               Nella civile Treviso, un sindaco può proporre vagoni blindati perespellere gli extracomunitari, il loro uso come prede per i cacciatorilocali, la rimozione delle panchine dal centro, per impedire che sianocontaminate da terga extracomunitarie. E viene rieletto. Ma quandochiude lo stesso salotto cittadino ai cani domestici (e alle lorodeiezioni), la popolazione scende in piazza e protesta. Nella scaladelle dignità difendibili (o almeno delle sensibilità civili), Trevisopone i cani (e persino le loro feci, a doverla dire tutta) più in altodegli extracomunitari. Non è un’opinione; è un fatto: per Fido sisentirono offesi; per Abdul, non abbastanza. Le classificazioni sonogradini, indicano la direzione della violenza che le genera: dall’altoin basso. La quantità di violenza è proporzionale alla tenuta dellenorme del vivere civile. Se queste si indeboliscono, abbiamo visto conquanta facilità si passi dalle sparate comico-razzistedell’intellighenzia balcanica (poco o per niente dissimili da quelledei Bossi, dei Salvini, dei Calderoli, dei Gentilini) alla puliziaetnica.              Il mio saggio amico Fulvio Molinari, giornalista e scrittore, ne hapaura:«Noi triestini l’abbiamo visto succedere alle porte di casa: chiabusa delle parole viene travolto dai fatti. Non si rendono conto».Epensate se, invece, se ne rendono pure conto... Trieste queste cose lepercepisce prima e meglio degli altri, per la sensibilità dellafrontiera. Paolo Rumiz si è mosso da lì per il suo viaggio fra leinquietudini del Nord; e, in La secessione leggera, riporta le paroledi un suo amico di Sarajevo: «Non è stato il fracasso dei cannoni auccidere la Iugoslavia. È stato il silenzio. Il silenzio sul linguaggiodella violenza, prima che sulla violenza».              Le scritte«Forza Etna», «Forza terremoto» comparse nel Nord (e il cuiricordo commuove e inorgoglisce i leghisti della prima ora, con lamemoria degli eroici inizi) celano, sotto un’apparente esagerazionedialettica, un desiderio vero, profondo. Un desiderio criminale: agentea cui il vulcano distruggeva case, aziende o a cui il terremotouccideva i familiari, qualcuno augurava di peggio; e per questootteneva voti, consenso sociale. Vergogna per loro; e per chiconsentiva e consente.Quella violenza è solo verbale, ma va nelsenso della classificazione, perché quando il Po uscì dagli argini,distrusse case, fece vittime o quando l’ictus paralizzò Bossi, nessunoal Sud scrisse sui viadotti dell’autostrada: «Forza Po» e«Forza ictus».La differenza fra le scritte leghiste e l’assenza di risposta puòessere in qualche millennio di storia in più (magari!), onell’accettazione del ruolo dei vinti (più probabile).                     L’aggressione leghista ha indotto molti a sentirsi meridionali, ariscoprire la propria storia; che i settentrionali preferisconoignorare, un po’ perché credono di aver già capito quel che c’è dacapire; un po’ perché non gl’interessa sapere del Sud, che associano aun’idea di cultura inutilmente contorta, elaborata, improduttiva,perdente e pretenziosa (insomma, un misto di invidiuzza e disprezzo perquegl’«intellettuali della Magna Grecia» che sanno un sacco di cose chenon servono a niente); un po’ perché, nella ricerca di radici diverse edistanti, piuttosto che coltivare la ricchezza delle proprie, sitrastullano con la patacca della “cultura celtica”. Comprensibilela “voglia di passato”, ma perché forzarne un aspetto per adattarlo aun desiderio del presente? Si rischia la caricatura, come il kilt, ilgonnellino degli scozzesi, che è un’invenzione folcloristica recente; oil «sole delle Alpi», quel fiore a sei petali, scelto dai leghistiquale loro simbolo, ma diffuso da sempre un po’ ovunque, eabbondantemente nel Mediterraneo: era già sugli scudi dei guerrieri diPuglia (però zona-Nord, eh?), più di tremila anni fa. Sciur Asterix dela Briansa, quello è il sole del Tavoliere! Ch’elvaga schisc anca (Civada piano pure) con l’avo barbarico: al Nord lasciò il nome a unaregione, mentre al Sud i suoi stati e le sue leggi nei tribunalisopravvissero ancora per quasi tre secoli, e con tale forza edestensione (parte della Campania, della Basilicata, della Puglia edella Calabria) che, nelle mappe dell’epoca, la“capitale diLongobardia” era Bari. Terun! Ma questo libro parla della costruzionedella minorità del Mezzogiorno, così, tanto vale dirlo subito: il purpiù duraturo stato meridionale di quei barbariche vennero acivilizzarsi in casa nostra passò alla storia con il nome di“Langobardia Minor” (e te pareva!).«Quando non si vuol farequalcosa per capirla,» ha scritto Marco Paolini «si trasforma la storiain geografia.» E accettiamo che, contro il valore dei fatti, lageografia divenga comunque vincente, se segna Nord e comunque perdente,se segna Sud? E che la latitudine misuri il valore degli uomini, delleloro azioni, dei loro diritti? Ma non è esattamente questa l’essenzaunica, piena, del razzismo? Non è nella facilità di tale promessa ilsuo successo con gli stupidi e gli egoisti?          «Le identità plurali sono percepite dai nazionalismi come altrettanteminacce» scrive Predrag Matvejevic´in Mondo ex e tempo del dopo. Espiega che è proprio nelle «nazioni venute tardi», come l’Italia, che«queste malattie di identità»colpiscono più facilmente.IlSettentrione ne patisce, perché scellerate scelte politiche edeconomiche hanno (de)portato al Nord alcuni milioni di meridionali, coni loro dialetti, le loro diete, le loro abitudini. Per quanto essiabbiano cercato di assimilare nuovi accenti e costumi, i propri hannoinfluito su quelli altrui; sapori e amori si sono fusi, generando unmeticciato avvertito come minaccia per l’identità del Nord. La Lega,l’invenzione di riti celtico-padano-veneti sono furbate politiche pertrasformare in voti il bisogno di riscoprire radici e armarle dirazzismo («Decidemmo di sfruttare l’antimeridionalismo diffuso inLombardia, come in altre regioni del Nord» ammette lo spudorato UmbertoBossi nel Mein Kampf della Lega, il suo Vento dal Nord).              E ne patisce il Sud, che ha meglio conservato il colore delle radici(indebolite dall’esodo, ma non stemperate da tradizioni diverse), purse nei comportamenti è stato indotto a rinnegarle, a ritenerlesuperate, scadenti, sconfitte. Come per gli ebrei convertiti a forza,gli è toccato sentire in un modo e agire in un altro. Finché, col tempoe le generazioni, quel sentire si è fatto flebile; salvo riaccendersi,per l’offesa, e proporsi “contro”. La tardiva scoperta di esseremeridionale mi ha rivelato un assurdo: i meridionali traggono il nomeda quel che gli manca: il Sud. E pure quando la geografia glieneoffriva uno (le infelici avventure contadine dei siciliani in Libia, inTunisia), la storia glielo ha negato. Il mondo dei meridionali ha unadirezione in meno: più giù di dove sono non si può andare, restando “acasa”. Il Sud porta con sé un’idea di gioia e di nostalgia; se la primaè data dal clima, dalla natura, l’altra (come accade, a volte, dopoun’amputazione) viene dal dolore dell’arto fantasma: fa male quello chenon c’è. Il Sud. Ed è una negazione pesante.L’estremo lembo dialcune regioni,che il sentimento proprio e altrui percepisce “alconfine del mondo”, è chiamato, in Galizia come in Cornovaglia o inBretagna: Finisterrae. In Italia un posto così è in Puglia, a SantaMaria di Leuca: lì il mare si alza come un muro, a chiudere ildiscorso. La Puglia è un dito di terra lungo quasi quattrocentochilometri, ma largo poco più di trenta, verso Leuca. Significa che nonsolo ci manca il Sud (Finisterrae), ma altre due direzioni, l’Estel’Ovest, sono appena abbozzate. Si intuisce altro, da qui, a cui nonpensi se hai intorno un orizzonte completo e percorribile. Puòtrattarsi della direzione negata della vita.              Un settentrionale può volgere gli occhi e cercarsi il futuro in ogniparte. Un meridionale, no: è costretto a guardare solo verso Nord:dalla storia, dall’economia figlia di quella storia, e persino dallageografia. In realtà, nemmeno il settentrionale ha davvero scelta; serinuncia al Sud, come quattro scriteriati vorrebbero, cade nella nostracondizione (ma in modo artificioso, falso, quindi sterile): quelladegli amputati. Mentre a noi tocca un arto fantasma che ti rendefertile (perché non è la tua volontà a privartene), a prezzo di undolore necessario: chi non raggiunge e comprende Finisterrae (la parteche manca) non sa il suo limite, non sa quel che vale. E si vede.a sud di nessun nord