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Osteria dei folli
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Messaggio N° 1168
 06-02-2008 
 

Post N° 1168

Abito in mezzo ai campi, se non fosse per quella orrenda zona industriale che han costruito fino alla fine del campo. Ci abito da sempre, qua in mezzo al verde, alla natura, a cani, gatti, galline varie ed eventuali. Ci sono stata bene fino alle elementari, quando sei ancora candido e puro; con l’avvento delle medie ho iniziato ad odiare le mie origini: per tutti ero la contadina, la disadattata, la selvaggia. E non contavano le scarpe come quelle dei fighetti, scarpe che mi facevan cagare ma che volevo per esser come loro. Desideravo esser una della piazza, andare al bar, giocare in piazza, abitare nel centro di un paese di 7000 anime. Poi son tornata in qua e alla fine della terza media ho deciso che si, potevo scappare a far una scuola a 30 km da casa, dove nessuno mi avrebbe controllato, dove avrei potuto fantasticare e agire a mio piacere. Quattordici anni, età dell’insulsamento e della sperimentazione, dei sogni sull’avere 18 anni e “andare a fare veterinaria  a bologna, che la si son alternativi e non sono come qua, rimbambiti”; sogni spezzati da qualche professore che ha deciso di tenermi a scuola più del dovuto… perso il treno per veterinaria fantasticavo sul treno per londra “che la si posso fare la punk con la mia bella cresta colorata e nessun che spacca i maroni”… perso l’aereo per londra mi è rimasto fare il diploma della laurea e sperare in un posto di enologo all’estero, poi in italia, perché non si fanno mai sogni grandi. E io li (qui) non ci volevo vivere!!
Alla fine son scappata per un mese di aria in Ecuador e dopo 2 anni 6 mesi di vita in Perù.  Non mi son mancati mai i miei, ma non significa che non li pensassi; avevo da pensare a me, curare le mie ferite, ascoltare la mia anima, e innamorarmi corrisposta di un prete di 80 anni (amore castissimo), io che i preti non posso vederli e che la chiesa la brucerei, lei e le sue regole del cazzo e le sue dottrine falsate.
Dopo però son tornata, un anno o poco più di stallo, poi il taglio del cordone ombelicale dai miei, meglio da mio padre. Non che io volessi il cordone, lo voleva lui per non sentirsi vecchio, piamadre l’aveva tagliato il giorno della mia nascita, donna forte la mia mamma. Taglio significa via di casa, indipendenza economica su tutto senza avere soldi per niente che non fossero bollette; taglio equivaleva a “sono via da te, sono tua figlia lo stesso ma ora decido io per me”. Un bell’affronto, costato musi e qualche urlo.
E nel vagare tra la pianura veneto/reggiana un solo pensiero: casa mia. I suoi odori, i suoi colori, i suoi tramonti che il sole non è mai uguale anche se è sempre lui. E non mi son sentita più la ragazzina delle medie, ma una donna che vuole abitare nel suo piccolo eden guardando i suoi bambini correre dietro alle galline a piedi scalzi.
Ecco perché ho deciso che farò la mia casa qua, sulle rovine della casa in cui son cresciuta, dove ho fatto tutto compreso giocare. Che la terra è l’anima di un uomo, che se son sempre stata abitante del mondo so benissimo dove è la mia casa. La mia casa sa dell’odore della mia nonna, è la foto col forno di pietra davanti, con la pergola dove mi arrampicavo, con la stanza con la farina di mais per le mucche con cui io e le mie cugine facevamo i budini finti. La mia casa sono i sacrifici dei miei genitori, le viti zappate sotto il sole di luglio, vendemmiate a settembre e curate a gennaio. La mia casa è la stufa  legna, che anche se era in perù era casa mia.
Voglio prepotentemente che la mia casa sia il piccolo mondo dove far crescere tutti i miei sogni, aprendo la finestra e guardando l'alba di un nuovo giorno. Ogni giorno.



 
  Inviato da plenum02 @ 21:17 COMMENTI: 19

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