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L'isola delle sirene (un viaggio a Pantelleria)


 Qualcuno ha detto che questa è l’isola delle Sirene, un posto dove, con il loro canto melodioso, incantavano i marinai che non avevano più tanta voglia di tornare a casa. Una leggenda narra che, durante il mese di agosto, qualcuna ritorni qui e faccia sentire ancora il suo dolce canto. La notai il giorno stesso del mio arrivo. Quando, di pomeriggio, mi recai al lago di Venere, un rifugio naturalistico che mi incantò al primo sguardo. Una delle principali attrazioni che l’isola offre, una distesa d’acqua cristallina in cui si vanno a creare, in base alla luminosità della giornata, sensazionali contrasti cromatici, un’oasi termale dalle acque ricche di proprietà terapeutiche e minerali che sgorgano a temperature molto elevate, soprattutto sul lato in cui si ritirano offrendo ai turisti dei fanghi benefici per il corpo. Il lago di Venere è un luogo magico dall’aspetto strepitoso, coinvolgente, quasi scenografico, assai caro a Venere, la dea dell’amore e della bellezza, che un tempo si crede specchiasse la propria bellezza presso le acque misteriose di questo lago prima di ogni incontro d’amore con Bacco. La notai, mentre usciva dall’acqua. Era immersa a metà, Il seno nudo e sodo su un corpo nervoso, pronto a scattare che sembrava scolpito nelle pietre nere del luogo. Capii subito che non si trattava di una turista. Il colore della sua pelle, impastato di terra scura, denotava una consuetudine col sole che hanno solo le donne di queste parti.E il profilo, non dolce, dal naso un po aquilino la faceva assomigliare ad una kore greca. Era diversa la sua pelle da quella delle turiste, troppo bianca, delicata, da sembrare senza sangue. La rividi di nuovo la sera mentre salivo lentamente lungo la scala incisa nella pietra che portava alla strada...era li seduta su un muretto con indosso un pareo verde mela a fantasia brasiliana e un reggiseno dello stesso colore, mi fissò accennando un leggero sorriso. Quasi simultaneamente arrivò un ragazzo in motorino, “ Rosalia!” gridò per coprire il rumore forte della marmitta bucata. Lei si avvicinò e lo baciò sulla bocca, a lungo, quasi con ostentazione, poi si sedette dietro e partirono, inerpicandosi su per la strada tutta curve. Il giorno successivo andai a fare il bagno all’arco dell’elefante un altro posto suggestivo, uno scoglio che sembra una proboscide di un elefante protesa nel mare...e chi c’è a pochi metri da me? Rosalia...mi sentii in imbarazzo quando: appena uscita dall’acqua, e, avvolto il pareo attorno ai fianchi si sfilò gli slip del costume e li fece cadere fradici sullo scoglio, come fosse un polpo appena pescato. Poi, in men che non si dica, da sotto se ne infilò un paio di asciutti. E intanto mi guardava ammiccando il solito sorrisetto. Era Rosalia che compariva quando meno me lo aspettavo. Rosalia che con la sua parlata gutturale, incomprensibile, come quella della gente di lì, sembrava mormorare chissà quali formule magiche. Era lei che mi aveva stregato, e che tornava nei miei sogni... Quella sera c’era la festa dell’estate. Sulla piazza della chiesa, c’erano le bancarelle di dolcetti e torrone, una miriade di piccole girandole illuminate e i fuochi d’artificio a mezzanotte. Sul palco, un complessino suonava gli ultimi successi. Non capivo da dove era uscita tutta quella gente, dal momento che, fino ad un ora prima avevo avuto la sensazione di essere solo sull’isola. E c’era anche Rosalia, vestita con una minigonna e un top bianco, che faceva risaltare la sua pelle ambrata. Ballava, muovendosi sui sandali, roteava il bacino in un modo molto sensuale. Io non riuscivo a staccargli gli occhi di dosso. Ad un certo punto mi guardò e mi fece un cenno con la mano come per dirmi seguimi...ed iniziò a correre, la seguii a stento per le viuzze strette e i “dammusi” di pietra lavica...fino a che la vedi entrare in una casa e chiudere la porta...rimasi li una decina di minuti ad aspettare e a riprendere fiato dopo di che me ne ritornai a casa...Da quella sera non la vidi più. La mattina prima della partenza dopo aver a lungo riflettuto se era il caso o meno di rivederla un ultima volta per un saluto, mi avviai verso la sua casa. Le persiane, scardinate, non facevano più ombra alle finestre senza vetri, faticai a trovare l’entrata, nascosta dalle ginestre, dove ronzavano mosconi scuri. Passava di lì una vecchia vestita di nero, dalla pelle cotta dal sole. Le chiesi se conoscesse un ragazza che si chiamava Rosalia e che fine avessero fatto gli abitanti di quella casa. La vecchia scuoteva la testa, e, con la bocca senza denti aperta, agitava la mano nodosa davanti alla fronte, come a darmi del matto. Non riusciva a capire cosa cercasse un forestiero in quella casa disabitata da anni...