Invito alla politica

IL RITORNO AL NUCLEARE


[Le Monde] Approvata in via definitiva al Senato il 9 Luglio, la legge sullo sviluppo (sottotitolata ” Le grandi riforme per il rilancio dell’economia del Paese”) ha messo fine a più di venti anni durante i quali la penisola ha voltato le spalle all’energia atomica.Nel novembre 1987, poco dopo la strage di Chernobyl, gli italiani avevano, tramite referendum, deciso lo smantellamento dei loro siti e lo stop a nuove costruzioni nonostante il paese fosse stato a lungo pioniere in questo campo. Oggi Roma spera di ridurre del 30% il costo dell’energia.Questa votazione, che si è tenuta in pieno G8, non è stato oggetto di nessuna polemica politica. Cominciato 10 mesi fa, il percorso legislativo è stato spalmato nel tempo, così da non poter essere oggetto di controversia in occasione delle elezioni Europee e locali vinte con larga maggioranza dal partito di Silvio Berlusconi.Secondo il ministro dell’industria, Claudio Scajola, “la sensibilità dell’Italia è cambiata.”Tre sono le ragioni di questo cambiamento:Primo, il paese, dipendente all’ 85% dall’estero per il suo approvigionamento energetico, fa pagare 1,6 volte più caro il kilowattora rispetto alla media dei paesi europei.Inoltre, i Verdi sono spariti dal Parlamento.Infine il centrodestra dispone di una maggioranza compatta.Il Partito democratico e L’Italia dei Valori hanno fatto presente la loro disapprovazione, evocando “un salto indietro di vent’anni”. Legambiente critica la scelta che “arriva troppo tardi”. Considerando che ci vorranno quasi due decenni per realizzare questo programma, i responsabili considerano che questo investimento avrebbe potuto essere meglio utilizzato nel campo della ricerca sulle nuove energie (solare, eolico etc.)Invece, Enel e Edison, i due principali fornitori di elettricità in Italia, così come il patronato hanno celebrato “una giornata storica”. Una “vittoria” ampiamente annunciata: senza aspettare il via libera definitivo del Parlamento il governo ha in effetti già firmato parecchi accordi di cooperazione, uno dei quali a febbraio con la Francia su tutta la filiera: ricerca, equipaggiamenti e ritrattamento dei rifiuti. Questo contratto prevede la costruzione da otto a dieci centrali per un ammontare di 40 miliardi di Euro. Quattro dovrebbero vedere la luce entro il 2020.Resta il problema dei siti e quello della formazione dei tecnici. Roma si è concessa sei mesi per pubblicare i criteri di scelta delle zone di insediamento tramite la creazione di un’Agenzia per la sicurezza nucleare. Questi sei mesi saranno utilizzati per convincere i responsabili locali ad accogliere i nuovi impianti.Già ora due regioni, Sicilia e Veneto, hanno emesso segnali positivi riguardo questa prospettiva.La configurazione geografica dell’Italia e la presenza di numerose zone sismiche limita la scelta del governo. In caso le controparti finanziarie non dovessero essere sufficienti per convincere i responsabili politici e gli abitanti dei siti scelti, il governo già ipotizza di dichiararle “zone di interesse strategico”. Un modo per collocarli direttamente sotto il controllo dello Stato e dell’esercito, come è già successo quando si è dovuto trovare un luogo per le discariche e gli inceneritori necessari per mettere fine alla crisi dei rifiuti a Napoli.Dopo ventidue anni di interruzione, l’Italia ha ancora a disposizione i tecnici e gli scientifici per far ripartire questa industria? Sì, Secondo Enel e Edison. Nonostante la scelta degli italiani, queste aziende non hanno mai smesso di far lavorare i propri dipendenti all’estero, dove si continua a produrre energia nucleare. In Spagna, in Slovacchia, in Romania e in Francia, Enel e Edison collaborano con gli operatori locali (Endesa, EDF etc.), così come in Cina e in Russia.Tuttavia, durante tutti questi anni di “nucleare clandestino”, i nuovi laureati nel settore dell’ingegneria nucleare si sono fatti rari.