Creato da carlopicone1960 il 13/01/2008

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L'ultima roccaforte

Post n°545 pubblicato il 10 Novembre 2019 da carlopicone1960
 
Foto di carlopicone1960

Mentre l’Italia sembra attraversata da un mefitico vento di destra, con casi sempre più numerosi di intolleranza razziale, di antisemitismo: addirittura una sopravvissuta di Auschwitz, come la senatrice a vita Liliana Segre, costretta alla scorta di due carabinieri, che fanno il paio allo sdoganamento, pressoché consacrato, del nazifascismo, la cui apologia invece di essere considerata un reato, codici alla mano, viene derubricata come espressione della libertà d’opinione; c’è un posto della nostra penisola dove il tanto vituperato e calante, a livello nazionale, Partito democratico si può permettere di esprimere maggioranza e opposizione: la città di Avellino, con la sua amministrazione bifronte. 

 

Nell’omologazione generale, nell’appiattimento del post-moderno e del post-ideologico, infatti, da queste parti, dove il predominio democristiano dei “magnifici sette”: i sempiterni Ciriaco De Mita, Nicola Mancino, Gerardo Bianco, gli esponenti di maggior spicco di una stagione irripetibile della politica avellinese, per decenni è stato incontrastato; il passaggio alla modernità liquida in cui siamo immersi è stata segnata dalla resistenza del vecchio verbo moderato. Alla luce della conclamata diffidenza, oltre che vera e propria repulsione, verso il nuovo che caratterizza il modus vivendi degli avellinesi. 

Qui, al crollo del centrosinistra rilevato sul piano nazionale, con il pericolo sempre più reale dell’affermazione delle destre, si è risposto con la conferma nel governo locale degli eredi della Dc e del Pci, uniti nella fusione fredda dei democrat. Anche durante il ventennio berlusconiano nulla è cambiato e l’intera Irpinia ha continuato ad essere una “roccaforte” prima democristiana, poi del centrosinistra, riprendendo forza ad ogni ritorno alla guida del Paese. 

Tuttavia, ci si aspettava che il “vento del cambiamento”, proveniente prima dallo tsunami “grillino” e poi dalla bicefala alleanza tra M5s e Lega di Salvini procurasse anche ad Avellino i suoi effetti, trascinati dal rozzo populismo dei due schieramenti usciti vincitori - malgrado sia stata la formazione di Di Maio quella che ha riscosso maggiori consensi - dalle ultime elezioni politiche. Ed un piccolo tentativo pure si è avuto localmente, quando Ciampi si è ritrovato incredibilmente ad essere il primo sindaco di un capoluogo di provincia del Meridione. Ma era troppo fragile la compagine, minoritaria, che lo sosteneva, tant’è che la sua avventura amministrativa è durata appena cinque mesi. 

Ebbene, dopo la fase commissariale che ha riscosso i favori della popolazione, le nuove elezioni hanno riportato, almeno formalmente, il Pd a Palazzo di città. Si dirà che il programma elettorale di Gianluca Festa aveva ben poco di democratico e che l’altra lista - quella ufficiale - del Pd è risultata sconfitta, in nome di un finto civismo, per cui dal “né di destra né di sinistra” di Ciampi siamo passati al “né di destra né di sinistra”, più o meno analogo, di un ex verde Sole che ride, già organico al Pd - forse ancora tesserato - come Festa. Sempre a discapito della qualità della vita degli avellinesi. 

Insomma, “la roccaforte” si mantiene pressoché intatta. I suoi bastioni resistono nella tempesta delle inchieste giudiziarie che coinvolgono elementi di quella destra salviniana altrove in inarrestabile ascesa. Ma fino a quando rimarrà impermeabile ai sussulti nazionali non ci è dato di sapere. D’altronde la schizofrenia di un partito, quale il Pd, da tempo balcanizzato in correnti contrapposte, diviso e statico dal punto di visto della proposta politica; continuamente commissariato, non lascia dormire sonni tranquilli. Malgrado l’insipienza dei “grillini” locali e della stessa destra a trazione Lega e Forza Italia. 

C’è però la variabile costituita dall’elettorato, avvelenato dal neo-populismo e dal neo-autoritarismo (rigurgiti fascisti ed antisemiti) che, in tutto il Paese, pare essersi impadronito dell’opinione pubblica. Da esso potrebbero venire le maggiori novità al prossimo ritorno alle urne. 

 

Un blocco conservatore e reazionario rafforzato dalla contemporanea sparizione dell’“essere di sinistra”. Totalmente inespresso dalle forze politiche che avrebbero dovuto rappresentarlo. E forse è proprio questa l’emergenza democratica più forte.     

 
 
 
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