paese reale

La città sospesa


Una città sospesa. È quella che appare Avellino. Un “paesone” di circa 58mila abitanti, sedicente capoluogo di provincia nonché capitale dell’Irpinia. La “diminutio” trova la sua ragione d’essere nel fatto che, seppur con il progresso e l’emancipazione, almeno quella dei luoghi del Mezzogiorno interno, da diversi anni ha imboccato la strada ripida della decadenza. In ogni campo. E non c’è “sindaco ridens” che tenga. Alla crisi della politica e della rappresentanza, con la clamorosa circostanza, non proprio accessoria, di avere un presidente dell’amministrazione provinciale non scelto dal popolo ma da funzionari e amministratori già in carica, si è intanto abbinata quella endemica che affligge il sistema economico locale. Come suo effetto, la desolazione e lo spopolamento inarrestabile dell’entroterra irpino, con lo stesso capoluogo che è da decenni pressoché fermo sul piano demografico. La particolarità di una tale condizione si accentua, raggiungendo livelli ancora più insostenibili, se si considera che, pur nelle sue dimensioni ridotte, Avellino racchiude in sé tutti i fenomeni negativi delle grandi città, a partire dal traffico da metropoli, per passare alla criminalità organizzata e all’inquinamento urbano, celato dietro l’apparente “aria buona” e le bellezze paesaggistiche, tanto decantate da qualche turista di passaggio. Ma allora perché sospesa? L’impressione di “sospensione” si coglie nei tanti lavori incompiuti, nei molti locali dismessi e vuoti, negli altrettanto numerosi luoghi di cultura chiusi e sottratti all’utilizzo da parte della popolazione dei contribuenti che, con le loro tasse, hanno fatto in modo che si realizzassero le dispendiose ristrutturazioni necessarie a renderli finalmente disponibili. Ma oggi mestamente serrati. La città-paese, così, è sospesa perché il suo destino rimane inesorabilmente incerto. Sul punto di una trasformazione che stenta a palesarsi. Tutto dovrebbe avverarsi, ma non si sa quando. Intanto che si va avanti, arrangiandosi alla meglio. Costretti a misurarsi con continue emergenze. Problemi incancrenitisi, che, in realtà urbane più evolute, non dovrebbero nemmeno esserci. Qui, che, per amore del calcio, si è disposti anche a tollerare una squadra raffazzonata ed un allenatore dal “cuore granata”, mentre la pericolante società rischia prima o poi di sparire. Ma soprattutto un grande evasore che in questi anni tra gas metano, pallacanestro di serie A ed in ultimo il calcio ha accumulato un’incredibile massa di debiti, che, se fosse accaduto negli Stati Uniti, sarebbe da tempo finito da tempo in galera. E non si sa bene perché, da queste parti, ciò non accade. Alla precarietà consolidata di una realtà di provincia, ultima in quasi tutte le classifiche di vivibilità, dunque si aggiunge un senso di provvisorietà, che rende instabili e disorienta soprattutto i più giovani. Oltre a quelli che amano questa città. Da loro si aspetta uno slancio di orgoglio per restituire Avellino alla dignità perduta.