paese reale

Cultura senza baffi


Non staremo qui a ripercorrere i termini dell’ultima polemica che vede protagonisti il sindaco Festa ed il presidente dell’Accademia di Belle Arti di Napoli, Giulio Baffi, annunciato in pompa magna come “super consulente” alla Cultura in campagna elettorale dall’allora candidato a primo cittadino, ed esibito in pubblico fino all’avvenuta proclamazione di luglio 2019, per poi sparire completamente dai disegni dell’amministrazione comunale. La vicenda, emblematica del modo di fare politica da queste parti, è stata ben trattata da Orticalab, per cui non ci resta che dedicargli qualche considerazione. A partire dalla spiegazione piuttosto ingiuriosa con cui la fascia tricolore avellinese, dopo essersi fregiato dell’appoggio del prestigioso intellettuale: critico, cronista teatrale di “Repubblica Napoli”, membro della Fondazione Eduardo De Filippo, direttore artistico dell’Ente Teatro Cronaca, organizzatore di manifestazioni, festival nazionali e internazionali, già docente dell’Accademia, dove nel 2018 ha preso il posto di presidente (nominato dall’allora ministra della Pubblica Istruzione, Valeria Fedeli) precedentemente occupato dall’avellinese Paolo Ricci, e in vari centri di ricerca e atenei partenopei; pure consulente per Cultura, Turismo e Spettacolo alla Regione Campania, nonché vicepresidente  della Fondazione Benevento Città Spettacolo. Liquidato per presunti “interessi economici” che Baffi, con il suo curriculum infinito, avrebbe avanzato, nonostante l’impegno per la sua consulenza esterna alla Giunta Festa avesse avuto il carattere di gratuità. Sta di fatto che l’esperto di arte, teatro, cinema ecc., pescato con una mossa a sorpresa per spingere ancor di più i consensi elettorali nella direzione dell’attuale 96° sindaco d’Italia (su 107), ha impietosamente sottolineato che Avellino (e l’Irpinia) non fa parte della geografia culturale della nazione, fuori da ogni circuito anche a livello regionale. Niente di nuovo, del resto, per chi continua a vivere da queste parti. Ma all’inesorabile giudizio proveniente da colui che era stato chiamato, almeno formalmente, a risollevare le sorti della cultura cittadina, si aggiunge la sua ancor più stucchevole rivelazione secondo cui, dopo la conferenza stampa del mese di luglio di un anno fa, nessuno più si è fatto sentire. Nemmeno una telefonata. Mentre Festa era alle prese con l’“entusiasmante” estate avellinese, e nei mesi successivi, per lui che aveva tenuto per sé la delega alla Cultura, non c’è stata più occasione di parlare di cultura. Certo, c’è stata l’emergenza Covid, ma solo dalla fine di febbraio 2020, con un intervallo di cinque mesi, che seppur occupati per l’altro “evento” delle festività natalizie, non giustifica la replica un po’ guascona con cui il primo cittadino ha risposto a Baffi. Oltre alle pretese economiche di quest’ultimo, ha infatti rivendicato la circostanza che “da luglio a marzo ad Avellino non si è parlato di cultura”. Motivazione piuttosto fumosa che mischia pre-pandemia e pandemia, generando ancor più confusione.Quello che viene fuori è l’inadeguatezza manifesta di quanti oggi amministrano la città nei confronti di temi culturali che siano più alti di eventi nazional-popolari da mettere in piedi per Ferragosto o per Capodanno. Applicando una logica meramente quantitativa, finora, il sindaco si è circondato di assessori (tecnici) fantasmi e, scopiazzando i Palazzi del potere romano, si è costruito il suo “cestistico” Dream Team di esperti, quando c’era da gestire la “fase 2” dell’emergenza sanitaria. Nomi di prestigio come Paolisso, Capozza, Basile, Oliviero, Caruso, Chirico, Sellitto, Montesarchio, il cui apporto, al fianco della Giunta, al momento non è verificabile, a parte le rassicurazioni dei contatti personali avuti da Festa: un’iniziativa che sembra più di facciata come per la vicenda Baffi, servita a mettere a posto la coscienza di chi gli avellinesi hanno scelto per governare la città.