Creato da carlopicone1960 il 13/01/2008

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Messaggi del 05/07/2020

Come prima, peggio di prima

Post n°594 pubblicato il 05 Luglio 2020 da carlopicone1960
 
Foto di carlopicone1960

La sensazione che si prova ritornando a percorrere Parco Santo Spirito, il polmone verde cittadino intitolato ad Antonio Manganelli, appena riaperto al pubblico dopo qualche mese di chiusura, è che manchi qualcosa. E non di poco conto. 

A cominciare dal numero di piante e di alberi che sono stati eliminati per motivazioni varie (“marci o malati” ha detto l’assessore all’Ambiente, Negrone) e allo stesso modo incomprensibili. 

Già a pochi metri dall’ingresso principale colpisce la presenza, finora non notata, di un paio di montagnole di terra e detriti sull’argine sinistro del mai bonificato Fenestrelle, ora aggredito dalla semi-siccità dell’estate. Proprio in prossimità della zona per prima transennata, a causa di una frana non ancora completamente domata. Adesso c’è un muretto di pietre e tanto spazio, ricavato dall’opera di restyling, che non ha risparmiato fiori e le erbe rare che c’erano, nei primi tempi etichettate. 

Ma il prolungato lockdown che l’“oasi” urbana, realizzata dall’amministrazione Galasso ed ereditata da Festa, ha dovuto subire, non ha portato cospicui cambiamenti, oltre al sostanzioso taglio di tutto ciò che poteva essere di ostacolo. 

Se sulla sponda sinistra del fiume c’è più suolo percorribile e zero ombra, il suggestivo ponte, off-limits quasi dall’apertura del parco, continua ad essere inaccessibile. Come gli edifici costruiti al di là dell’argine e di fatto mai inaugurati né resi funzionali. Lo stesso vale per la struttura a ridosso del campo di rugby. 

Allora, dovremmo gioire al successo dell’iniziativa di recupero del sindaco di Enjoy city, che finalmente ha ridato alla cittadinanza avellinese il suo parco, seppur non ancora dotato dei necessari servizi, solo per non apparire dei menagrami che passano il loro tempo a rosicare? 

Oppure dovremmo credere all’entusiasmo della vicesindaco Nargi, che promette un mega murale per festeggiare il ripristino dell’area, anche se poi la pulitura degli argini del Fenestrelle pare aver provocato più rifiuti, specie se nessuno si è preoccupato di rimuoverli? 

Vada pure per lo spazio riservato ai quattro zampe, malgrado la loro convivenza con gli umani lungo il percorso verde si profili alquanto problematico, tuttavia Festa che annuncia altri settecentomila euro di spese e poi non trova la cifra per il compenso destinato al tecnico chiamato alla ristrutturazione della Dogana, è un altro dei misteri buffi della realtà locale. 

Qui, dove si dipingono le strisce pedonali multicolori, ma poi si becca una multa di quattrocento euro per l’inidoneità dell’intervento realizzato. Si progetta un’arena ed il nuovo mercato bisettimanale in un punto di alta densità di rifiuti interrati, ma, grazie al parere sbarazzino delle autorità sanitarie, non si demorde, forti dell’appoggio del comandante della polizia locale.  

 
 
 

Villeggianti di città

Post n°593 pubblicato il 05 Luglio 2020 da carlopicone1960
 
Foto di carlopicone1960

La crisi economica post-covid, con lo stato di sofferenza di un gran numero di persone che o è finito in cassa integrazione o ha perso il posto di lavoro, spingerà buona parte dei cittadini avellinesi a non muoversi, quest’estate, per raggiungere i consueti luoghi di vacanza. Una tendenza peraltro di carattere nazionale, che emerge nel guazzabuglio ancora irrisolto delle “linee guida” ai tempi della pandemia.

C’è poco da fare. Con una situazione epidemiologica che desta ancora preoccupazione, tra focolai di contagio accesi un po’ dovunque, il quadro generale rischia di rivelarsi ancor più triste. Anche in prospettiva della prossima ripresa autunnale, che si preannuncia assai più complicata. Per la maggioranza delle famiglie avellinesi non resta che passare l’estate nella stasi priva di forme della città, i cui amministratori tuttora non mostrano il necessario interesse per accrescerne la vivibilità. 

Difficile simulare spensieratezza vacanziera in una realtà urbana ridotta com’è oggi Avellino, che con il passare degli anni ha accentuato i suoi caratteri ibridi, prodotto di miscugli architettonici e piani urbanistici sovrapposti, aree residenziali slegate tra loro, servizi quasi assenti, come del resto i trasporti pubblici. Un centro città che progressivamente ha smarrito la sua rilevanza, riducendosi ad agglomerato di case addossate intorno all’isola pedonale di Corso Vittorio Emanuele e all’intasata arteria di Corso Europa. Mentre tutto il resto è periferia, anche se a distanza limitata. Il centro storico che langue, alla costante ricerca dell’identità perduta, come la stessa offerta commerciale per niente attraente che s’individua ai lati del “passeggiatoio” che attraversa la città da quel che rimane del Viale dei Platani fino a Piazza Libertà.

Insomma un paessaggio urbano scarsamente invitante, che conferma di non essere propriamente attraente per la popolazione residente. Per i tanti che a causa della pandemia o delle carenti risorse economiche saranno costretti a rimanere in città. Nell’assenza di una proposta di eventi adeguati da parte dell’amministrazione comunale. 

RIPENSARE AVELLINO

Quest’occasione, allora, potrebbe essere utile a ripensare Avellino e la sua urbanità. Un termine che non si adatta molto ad una realtà decentrata come quella che viviamo, con intere zone dell’immediata periferia avviate verso la desertificazione, negozi e locali commerciali che chiudono lasciando spazio a quelli che sembrano essere diventati gli esercizi di maggior tendenza: parrucchieri, pizzerie, bar, punti vendita di telefonia ecc. Mentre i ceti sociali più abbienti non rinunciano alle loro ville in mezzo al verde, nelle aree intorno alla città dai servizi spesso carenti. Proprio a proposito delle periferie, Renzo Piano ha detto a “la Lettura”: “… Bisogna fecondarle disseminandole di edifici pubblici, servizi, scuole, università, biblioteche, centri civici, attività culturali. Luoghi per la gente dove si celebrino l’incontro e la condivisione. I quartieri devono […] essere collegati al centro senza l’obbligo di utilizzare l’auto, potenziando i trasporti pubblici…”. Senza tralasciare “il verde come tessuto connettivo, un filtro tra città e campagna che ponga limite al consumo del suolo”. 

E questo è solo uno dei punti dell’articolato discorso che il grande architetto ligure sviluppa intorno alla sua idea di “città diffusa”, un progetto di vivibilità urbana che dovrebbe essere esteso all’intero territorio nazionale: “Nella città diffusa, dalla città alla campagna ci sono strade, piazze, ponti, boschi, fiumi e borghi. E tutto è fertile, a modo suo; non ci sono deserti. Ma tutto deve essere ricucito da una rete capillare di trasporto pubblico su rotaia. Elettrico naturalmente”. Non un progetto visionario, che insegue irrealizzabili utopie, ma una linea d’indirizzo da attuare nelle sin troppo dissestate realtà abitative italiane, che può fungere da contributo al miglioramento a livello locale. Se solo ci fossero dall’altra parte persone di buon senso in grado d raccoglierlo.

 

 
 
 

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