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Messaggi di Marzo 2020

Ambulatorio Arminio

Post n°570 pubblicato il 26 Marzo 2020 da carlopicone1960
 
Foto di carlopicone1960

ARMINIO E L’AMBULATORIO POETICO

 

È un periodo particolarmente positivo per Franco Arminio. 

Il poeta paesologo di Bisaccia, che già prima del Coronavirus era diventato il poeta di riferimento del “Corriere della Sera”, firmando interventi in prima pagina, dopo aver girato un documentario visibile sul sito dello stesso giornale, non perde un’occasione per regalare al suo folto pubblico di estimatori una lirica, un pensiero poetico, una parola. Che poi si tratti di componimenti piuttosto semplici, assai simili ad una frase-considerazione suddivisa in versi, è nella cifra stilistica di un autore che, si ricorderà, ha esordito come “narratore delle riserve”, con mentore Gianni Celati, per rivelare subito dopo il suo talento alla scuola poetica di Valerio Magrelli. 

Ma Arminio, evidentemente, oggi ha raggiunto la maturità: non ha più bisogno di punti di riferimento, gli basta sé stesso. Il suo egotismo, come “indagine costante e minuziosa delle proprie facoltà e una estetica contemplazione di sé”, confinante con il narcisismo, che pure aveva contraddistinto il suo fare poesia, adesso non ha più limiti. Del resto, non tutti scrivono sul “Corriere” né vengono chiamati dal ministro del Sud, Provenzano, ad un tour parasociologico fra i borghi dell’Italia meridionale, a raccogliere e fare proposte da sottoporre ai nostri politici, come lui ha potuto. Arminio, già inventatosi paesologo e per questo incaricato di insegnare l’inedita materia, in un corso temporaneo all’Università di Firenze, tra le polemiche. 

Tuttavia, colpisce, in questi tempi di Coronavirus, l’attività indefessa, pur senza uscire di casa, a causa delle varie ordinanze, che lo vede protagonista. 

Ha cominciato, agli esordi dell’epidemia, con un “decalogo” di sopravvivenza poetica alle chiusure e privazioni indotte dal virus micidiale, sospeso tra le nuvole come ogni lirismo che si rispetti. 

Il “paesologo”, tante volte intervistato sui canali nazionali, ha poi malcelato lo stupore dell’autore un po’ naïf aggrappato alla civiltà rurale dietro all’insorgenza dei social. Si è ritrovato con uno strumento mediatico più potente delle presentazioni dei libri, degli incontri dal vivo e della pubblicizzazione delle sue opere, capace invece di garantirgli una più larga visibilità. 37.321 amici seguono la sua pagina su Facebook, probabile che a breve finisca pure su Instagram, mentre Twitter non si adatta troppo allo stile dei suoi messaggi. Di fatto, però, si è trasformato da cantore di una società restia all’invasione tecnologica ad uno che gli sta dentro completamente, anzi usa strumentalmente i nuovi mezzi di comunicazione. 

Così, periodicamente, sui nuovi media abbinati a giornali e radio non manca mai una sua riflessione poetica. Ascoltando la trasmissione di Radiodue “Caterpillar”, abbiamo potuto scoprire, noi che non siamo fra i like di Arminio, che il bisaccese ha avviato da giorni una sorta di “sportello poetico”, concedendo due-tre ore del suo tempo prezioso alle telefonate, a schema libero, di persone che, preso su Facebook il suo numero di telefono privato (reso pubblico per l’occasione), lo chiamano per raccontargli i propri problemi, angosce, inquietudini, o semplicemente per comunicargli i propri sfoghi. Tipo “ambulatorio” poetico con precisi orari di riferimento (ore 9-11). 

Lo “sportello” aperto da Arminio dovrebbe funzionare come un counseling, di quelli già esistenti in campo psicologico e filosofico, ma, in questo caso, dall’altra parte del telefono c’è lui, che, come ha spiegato a Cirri di “Caterpillar”, si limita essenzialmente ad ascoltare, quasi fosse uno psicanalista freudiano, per poi regalare qualche frase di conforto, un suggerimento, un consiglio. 

Ma non finisce qui. L’iperattivismo del poeta, nel deserto generale in cui siamo obbligati a vivere durante questa interminabile emergenza da pandemia, gli ha fatto partorire un altro frutto della sua irrefrenabile creatività: la proclamazione via network di cinque minuti di silenzio assoluto nella giornata di domenica prossima. Insomma, un momento di raccoglimento più dilatato del prammatico minuto, in tutte le case, dove già si soffre per le conseguenze dell’isolamento sociale, senza televisione, senza telefono, senza computer: cinque minuti per chi è morto senza avere intorno i suoi familiari, per chi è morto senza il saluto della sua comunità. Perché, aggiunge Arminio, “abbiamo bisogno di un pensiero collettivo dedicato a tutte le persone che stanno morendo in questi giorni senza funerali”. 

Un’iniziativa che fa il paio al “Canto di chi rimane a casa” che di poco l’ha anticipato. 

Che dire, dinanzi a simili sollecitazioni degli affetti è difficile commentare, ma ci sovviene che Papa Francesco, ogni giorno, da qualche Angelus a questa parte, rivolge al Signore le stesse preghiere e gli stessi silenzi per le vittime del Coronavirus. Questioni di copyright?    

 
 
 

La sua Korea

Post n°569 pubblicato il 25 Marzo 2020 da carlopicone1960
 
Foto di carlopicone1960

In questi tempi di Coronavirus, quando la sensazione generale è quella di essere assediati fino all’uscio di casa da un’entità maligna e inarrestabile che ci insegue, anche la città di Avellino si è mobilitata contro il mostro invisibile del contagio. 

Anzi no, diciamo che, in una realtà fortunatamente ancora periferica rispetto alle   cifre raggelanti di altre province italiane, con i suoi 13 positivi al virus ed un entroterra isolato nella zona della Valle Ufita, dove si sono registrati i morti e i contagi più numerosi, l’annuncio convinto di adottare una strategia di contenimento e contrasto al Covid-19, da parte del sindaco Festa, ha dovuto segnare una battuta d’arresto. 

Abbiamo potuto assistere all’ultima delle dirette Facebook del telegenico primo cittadino, quella dello scorso 23 marzo. In essa, probabilmente facendosi prendere la mano ha anticipato la sua volontà, di strenuo difensore della salute del suo popolo, di ordinare lo screening di massa nel capoluogo, grazie a 5000 kit per scovare gli asintomatici portatori inconsapevoli dell’infezione. Kit da destinare all’Asl o, in caso contrario,  sarebbero stati presi in carico dello stesso Comune, in collaborazione con l’Ordine dei medici. 

Un simile annuncio, se da un lato poteva generare grandi speranze di “vincere a modo nostro” la battaglia contro il virus, attuando una versione avellinese del “metodo coreano”, quello rivelatosi finora tra i più efficaci; dall’altro destava più di un interrogativo e perplessità su chi avrebbe materialmente svolto i test e quali sarebbero state le conseguenze dei loro risultati. 

Va bene l’isolamento fiduciario, ma i pazienti, perché sia accertata la loro positività, hanno bisogno dell’ulteriore prova di un tampone, spesso da ripetere. 

Comunque, dubbi e aspettative si sono diradate il giorno stesso, quando Salvatore Cincotti di Technogenetics, l’azienda che produce i kit e che collabora con la Regione Campania,  intervenendo nella trasmissione di Primativvù, “Qui Regione”, ha raffreddato i bollori salvifici del primo cittadino. Per poter servire alla causa ci vorrebbero non cinquemila ma 35000 test a settimana, sette a persona e per valutare in modo attendibile la positività occorre sempre il tampone, con il rischio, come ha ancora spiegato Cincotti, di ingolfare il sistema e provocare confusione e allarmismo. L’unico sistema veramente efficace resta quindi il distanziamento sociale: lo stare a casa, anche secondo il rappresentante di Technogenetics.

C’è da dire, inoltre, che far strisciare, come ha fatto il sindaco Festa, dentro gli accorati appelli alla cittadinanza echi di polemiche mai sopite nei confronti del presidente della Regione, De Luca, accusandolo di stare trascurando o sottovalutando la condizione sanitaria di Avellino, non ci sembra un atteggiamento consono alla drammatica situazione emergenziale in cui tutti ci troviamo. Come gli stessi toni all’insegna quasi del “prima gli avellinesi” che hanno aleggiato sul suo intervento, encomiabili, d’altro canto, se si traducessero in sincere preoccupazioni per il “suo” popolo. Tuttavia dire ad un certo punto che, aprendo ulteriormente i reparti del “Moscati”, sarebbero in breve tempo occupati dai napoletani, non suona affatto bene. Perché di fronte al virus siamo tutti uguali. Purtroppo. 

In ultimo, davanti all’interventismo sconnesso da un piano regionale o nazionale mostrato dal primo cittadino di Avellino, si è avuta l’impressione di rivedere le stesse forme, rivelatesi assolutamente deleterie, di iniziative autonome di cui si sono resi protagonisti, nella fase iniziale dell’epidemia, i vari governatori ed amministratori locali delle regioni del Nord, divenute poi loro malgrado le prime “zone rosse” della tragica geografia del Covid-19. 

 
 
 

Antivirus

Post n°568 pubblicato il 15 Marzo 2020 da carlopicone1960
 
Foto di carlopicone1960

Proprio in momenti come questi in cui prevale la paura, fra i più diffusi sentimenti irrazionali che ci assalgono in situazioni di pericolo e di proclamata emergenza, siamo sempre più convinti che l'arma più efficace a nostra disposizione sia la cultura.

Che vuol dire uso della ragione, giuste informazioni, letture selezionate, fonti accreditate, approndimento per non restare alla superficialità delle notizie e di quant'altro ci viene comunicato, in un approccio critico, mentre tutto intorno si sprofonda nel silenzio e nella assenza completa di relazioni umane.

Ecco, le buone pratiche dell'#iorestoacasa, messe insieme, afferiscono a quella che si chiama cultura. La stessa che costituisce l'unico mezzo per sopravvivere a questa sciagura post-moderna, nella quale la società opulenta dei consumi è precipitata. E restare umani.

Dall'osservatorio, ancora privilegiato, della nostra piccola città del Meridione interno, non investita in pieno dalla pandemia, i timori, anche se non supportati da dati particolarmente preoccupanti, nella provvisorietà di una situazione in continuo aggiornamento, sono quelli delle altre realtà italiane aggredite da virus. Ma con diversi aspetti specifici e in parte grotteschi.

Come l'applicazione "all'avellinese" delle ultime misure restrittive anti-contagio. Basta guardare alle modalità singolari con cui ci si reca, in fila, a fare la spesa ai supermarket. Spesso senza regole ben codificate ed esposte al pubblico, da parte dei gestori, e l'immancabile furbizia fondata sulla colpevole approssimazione da parte degli avventori. Chi fa finta di non conoscere mariti o sorelle, pur di evitare il divieto d'accesso a più di un membro del gruppo familiare ed entrare lo stesso, per riempire di tutto e di più i carrelli della spesa.

Chi non rispetta la "distanza sociale" di almeno un metro né all'interno del market né, soprattutto, al di fuori, mentre si è in fila ad aspettare. E qui sono sempre più frequenti quelli che, affetti da inguaribile tabagismo, nell'attesa, scostano la mascherina dal volto per fumare una "salutare" sigaretta.

E poi c'è il caso delle mascherine di fortuna. Quelle artigianalmente autoprodotte, parimenti inefficaci rispetto a quelle indossate sopra sciarpe di lana o solo per conformarsi alla moda.

Mentre appare ugualmente rischioso servire il pane ed altri alimenti non rispettando alcuna norma igienica o di sicurezza, consegnando i prodotti a mani nude e non con il guanti monouso, e, ancora peggio, toccando con le stesse mani il denaro che il cliente sborsa ed il cibo che vende.

Per ora, è cominciata da circa una settimana l'emergenza più dura, sono queste solo alcune delle situazioni da correggere, fermo restando che solo un grado di cultura personale accettabile può scongiurare ulteriori pericoli. Ma diamo il tempo alla gente di capire meglio.   

 
 
 

Cinema paralitico

Post n°567 pubblicato il 08 Marzo 2020 da carlopicone1960
 
Foto di carlopicone1960

Chissà se sia stato il caso, in questi tempi di paralisi progressiva che il nostro Paese sta vivendo: fra “zone rosse” che si allargano a dismisura ed il panico generalizzato per la pandemia da coronavirus; di proporre al pubblico del web, adesso, e successivamente nella versione cinematografica, nelle sale a giugno, il film di Davide Ferrario e Franco Arminio, intitolato “Nuovo Cinema Paralitico”. 

A parte una qualche ruvidezza nell’espressione utilizzata per alludere al valore della lentezza, in un mondo sempre più ottusamente veloce; a parte la scontatezza del modello turistico-antropologico ripetuto ancora una volta dal poeta-paesologo di Bisaccia, si fa fatica, infatti, a trovare qualche spunto saliente nel lavoro a due trasformato in serie online reperibile sul sito corriere.it. Un centinaio di microepisodi di circa due minuti ognuno, rilasciato a gruppi per nove weekend consecutivi. Prima di finire nei cinema con la bella stagione. 

Eppure l’idea di fondo non è male. Riscoprire e rivalutare l’“andamento lento” (non alla Tullio De Piscopo) nell’esistenza quotidiana, girando, per l’ennesima volta, l’Italia minore e periferica. Quella dei borghi e piccoli comuni visitata di sfuggita, cercando la bellezza in ogni luogo. Con le poesie del bisaccese Arminio, non certo un Alberto Lupo nella recitazione dei propri versi, a fare da sottofondo o voce fuori campo. Così nella prima tappa del tour di Ferrario - il regista - e del poeta, divenuto ormai presenza fissa sul “Corriere della Sera”, saltando, in cartoline istantanee, fra il Sud ed il Nord, dai dintorni di Messina al Piemonte, per chiudersi sulle spiagge assolate bagnate dallo Stretto, è sembrato assistere ad una puntata di “Presa diretta” su Raitre, ad una di quelle raffinate inchieste giornalistiche di Riccardo Iacona, ma senza denuncia e documentazione del problema affrontato. O meglio, ad uno degli splendidi affreschi che ogni tanto ci regala l’insuperabile Domenico Iannaccone, tra l’altro in visita proprio in Alta Irpinia, accompagnato da Arminio, qualche tempo fa.

Questo solo per dire che guardando “Nuovo Cinema Paralitico” si ha l’impressione del già visto e, pur “nella straordinaria varietà dell’ovvio”, come ha detto Davide Ferrario in un’intervista al “Corriere”, del già sentito. 

Volutamente distante da ogni analisi sociologica, “l’elogio della lentezza e della piccola bellezza”, cercato durante il viaggio, riesce solo a sprazzi ad illuminare realtà locali lontane dai riflettori. Minime le storie, come le emozioni, e tanta poesia arminiana, quella sempre in deficit di lirismo. 

“Credo che tutte le cose siano belle e se le guardo e non sono belle vuol dire che devo guardare meglio”, esempio di componimento basic, piuttosto elementare nella costruzione. Ed è proprio il semplicismo che non scava in profondità né storie, né uomini, né luoghi, è quello che prevale. Dentro frammenti di turismo culturale raccordati intorno alla figura del vate della paesologia. Memorabile il suo sproloquio sul finale della prima parte in Rete, ad occhi chiusi davanti al mare siciliano che si affaccia sullo Stretto di Messina. 

Ecco, crediamo che “Nuovo Cinema Paralitico” sia stato meno interessante e ricco di significati dei suoi giri attraverso l’Irpinia d’Oriente o del Cratere.   

 
 
 

Il nuovo padrone del calcio biancoverde

Post n°566 pubblicato il 02 Marzo 2020 da carlopicone1960
 
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E allora, l’Avellino calcio ha un nuovo padrone. Finalmente, la sgangherata combriccola molisano-sannita dell’Idc ha ceduto il 90% circa delle quote societarie dell’Unione sportiva all’imprenditore irpino doc Angelo Antonio D’Agostino. Quello che da tempo si aspettavano i tifosi biancoverdi. 

L’ex parlamentare di Montefalcione, costruttore edile e impegnato nella commercializzazione del gas metano con Sienergia, oltre ad essere presente nel campo dell’editoria televisiva, con Prima tivvù-Telenostra, è di fatto il nuovo  proprietario del calcio avellinese e si appresta a ricoprire ufficialmente la carica di presidente, dopo la pantomima durata appena tre mesi dei vari Izzo, Circelli, Martone, Autorino ecc. i quali, di lite in lite, ha raggiunto livelli parossistici di senso di inadeguatezza, con l’ambiente degli sportivi irpini in subbuglio.

Non importa che, poi sul campo, i biancoverdi siano usciti sconfitti dal match di Bari. 

Ora, D’Agostino, che già alla deflagrazione del crac Sidigas-De Cesare aveva offerto mezzo milione di euro per rilevare la società e che pare ne abbia sborsato adesso 520mila, ha davanti l’arduo compito di dare solidità finanziaria e gestionale ad un U.S. Avellino 1912 che, negli ultimi anni, l’ha perduta completamente, tra clamorose cancellazioni, incapacità diffuse e altalenanti risultati agonistici. Dalla cadetteria vanificata a causa dell’incredibile mancata iscrizione al campionato, la provvisoria rinascita in serie D, fino all’attuale travagliata stagione in Lega Pro, la vecchia C1. Giusto, il suo auspicio di intervenire sin da subito sull’organizzazione societaria, impiantando le condizioni per una ripartenza fondata sul potenziamento settore giovanile, l’autentica croce del sodalizio biancoverde dai tempi del post-Sibilia. L’imprenditore, sponsor della compagine amministrativa che ha portato all’elezione a sindaco di Gianluca Festa, con il suo atteggiamento accorto e  solo minimamente trionfante, a differenza degli altri presidenti che l’hanno preceduto (da Taccone a Mauriello e Izzo), infonde sicurezza e affidabilità. Uno concreto, che, prima di muoversi e prendere iniziative, si accerta delle necessarie garanzie. 

Possono, dunque, risultare altrettanto rassicuranti i suoi primi annunci di collaborazione con altri imprenditori irpini, come ad esempio Carlo Matarazzo, amministratore delegato della Cosmopol, che potrebbe entrare nella nuova avventura biancoverde per mezzo della sponsorizzazione della squadra. Resta il 9,5% delle quote azionarie per il socio costituito dall’arianese Innovation Football di Riccio e Cusano, ma non dovrebbe incidere più di tanto. 

In ogni caso, risultati di campionato a parte, c’è un motivo per gioire: l’Avellino calcio volta pagina e si chiude definitivamente la triste pagina legata al patron della Sidigas Gianandrea De Cesare. Possiamo essere contenti.   

 
 
 

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