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Messaggi del 01/05/2019

Il lavoro nobilita l'uomo

Post n°495 pubblicato il 01 Maggio 2019 da carlopicone1960
 
Foto di carlopicone1960

Il lavoro nobilita l’uomo. Sta scritto sul cancello d’ingresso dei luoghi dove proprio l’uomo ha sperimentato l’apice della sua crudeltà, la massima disumanizzazione nei confronti di altri uomini, ridotti a carne da macello, scientificamente torturati ed eliminati nelle camere a gas, ridotti a fardelli di ossa su cui fare scempio nei campi di sterminio della “soluzione finale”. In quei santuari della violenza cieca e dell’annullamento di ogni umanità, sono stato durante l’ultima primavera gelata di Dachau, quando ho avuto la possibilità di verificare dove può giungere la malvagità dell’essere umano, che supera tutte le altre creature viventi quanto a distruttività, nel cosciente progetto nazista. Ed è stata un’esperienza difficile da raccontare. Con quella scritta sul cancello d’ingresso del primo lager hitleriano, da cui poi nacque il modello di campo di sterminio destinato ad essere esportato in tutta la Germania, impegnata nella seconda guerra mondiale. Con quel raggelante paradosso, la frase presa a prestito, quasi a ridicolizzarla, dalla lunga tradizione culturale che associava al termine “lavoro” gli obiettivi più alti della vita umana. La “nobilitazione” della sua esistenza, il valore altamente formativo del mettere a disposizione della comunità le proprie capacità, l’autorealizzazione e la ricercata autonomia. Già presenti con l’Ora et labora del Monachesimo medievale o nell’Homo faber dell’Umanesimo rinascimentale, rivisitati nel pensiero di Karl Marx, ma anche nella stagione esaltante dell’Attivismo pedagogico, nel meglio della filosofia illuministica e in seguito novecentesca. 

Oggi, Primo maggio, festa dei lavoratori, molto è cambiato. La maggior parte delle persone, per lo più, vive la giornata di ferie, come l’occasione per incardinare una vacanza, allungando il ponte che la porterà a passare un po’ di tempo lontano dal posto di lavoro, al mare o in montagna. Intanto che una ritualità assai distante dalla consacrazione laica della festa dei lavoratori ha preso l’intera società. Con il “reducismo” dei sindacati sopravvissuti, pronti a rispolverare bandiere e striscioni, con le nuove parole d’ordine, rivolte ai tanti disoccupati, cassintegrati, giovani senza futuro, operai e contadini sempre più costretti a condizioni critiche, insieme al ricordo delle sempre più numerose vittime di incidenti sul lavoro. Tra le emergenze al momento più gravi. Mentre il resto della popolazione, come assopito, se ne tiene lontano, dedicandosi al riposo di questa “domenica” infrasettimanale. 

Perché la società ha subito una radicale trasformazione. Se su chi lavora continuano a incombere gli atavici problemi dei rapporti tra proprietari dei mezzi di produzione e gli sfruttati, alienati proletari al loro servizio, nella confusa congiuntura odierna, si segnalano gli enormi progressi della tecnologia e della informatizzazione che ne hanno stravolto irrimediabilmente il quadro. Sembra che la profezia di tanti scienziati sociali, che prevedevano la fine del lavoro e l’uomo alle prese con il tempo libero sempre più dilatato, stia sul punto di realizzarsi: con l’industria 4.0, l’automazione, le macchine che prendono il posto dell’uomo, per aumentare senza limiti la produzione, ma gli operai vengono progressivamente espulsi dal ciclo produttivo, e, nelle situazioni più proficue, le loro competenze vengono rideterminate al costo di impegnativi corsi di riqualificazione, nel nome dell’ultima invenzione della flessibilità più precaria e dell’urgente bisogno di aggiornare le proprie capacità, associate alla “bufala” della fine del posto fisso, rivelatasi via via illusoria e fuorviante, malgrado l’insistente propaganda del capitalismo neoliberista. 

Lo scenario complessivo, su cui si installa questo Primo Maggio, post-moderno e post-industriale, è questo. E chi ha interesse delle sorti dei milioni di lavoratori contemporanei non può non tenerla nella giusta considerazione. 

 

Auguri, allora, a quanti godono il privilegio di un posto di lavoro, pur sottopagato, e, ancora di più, alle migliaia di giovani che hanno riscoperto l’emigrazione per cercarlo altrove, ai tanti che stanno vivendo sulla loro pelle la nuova povertà e l’assenza di prospettive. Senza alcuna retorica.   

 
 
 

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