« Carmen Amaya | Un diverso » |
Ogni arte ha, com'è naturale, un duende di forma e modo diversi, ma tutti affondano le radici in un punto da cui sgorgano i suoni neri di Manuel Torres, materia ultima e fondo comune scosso da brivido incontrollabile di legno, suono, tela e vocabolo.
Suoni neri dietro i quali stanno da tempo in tenera intimità i vulcani, le formiche, gli zefiri e la grande notte che si cinge la vita con la via lattea.
Signore e signori, ho innalzato tre archi e con mano incerta ho messo in essi la musa, l'angelo e il duende.
La musa rimane tranquilla; può avere la tunica a piccole pieghe o gli occhi di vacca che guardano, di Pompei, oppure il nasone a quattro facce con cui l'ha dipinta il suo grande amico Picasso. L'angelo può agitare capelli di Antonello da Messina, tunica di Lippi e violino di Masolino e di Rousseau.
Il duende... Ma dov'è il duende? Dall'arco vuoto entra un'aria mentale che soffia con insistenza sulle teste dei morti, alla ricerca di nuovi paesaggi e accenti ignorati; un'aria con odor di saliva di bimbo, di erba pesta e velo di medusa che annuncia il costante battesimo delle cose appena create.
Federico García Lorca
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