L’Odissea

Alberto Laggia


Piccoli schiavi delle miniere               di Luca Fiordiloto        Nella Bolivia, migliaia di ragazzi e bambini lavorano nelle miniere del Cerro Rico per estrarre l’argento dalla miniera.         Rodolfo ha otto anni e ha già imparato a distinguere i sassi che contengono zinco, da quelli con l’argento e a scartare le parti con poco minerale. Dentro la miniera, a 400 metri di profondità, riempie sei sacchi al giorno. Due giorni alla settimana aiuta suo padre, negli altri giorni deve andare a scuola. Tra non molto userà la dinamite, innescherà detonatori, abbandonerà la scuola e metterà il caschetto. Rodolfo è uno dei migliaia di ragazzi che lavorano nelle miniere del Cerro Rico.         Ai piedi del Cerro c’è una città chiamata Portosì che è la città più alta del mondo. Crebbe a tal punto grazie alle vene d’argento della sua montagna e divenne la città più vasta e ricca dell’America Latina. Le miniere, produssero tanta ricchezza, ma altrettante furono le tragedie: si contano otto milioni di vittime.     La montagna continua a generare schiavi. La polvere di silice che si respira nelle gallerie accorcia la vita dei lavoratori, la silicosi arriva dopo dieci anni di lavoro nelle miniere. Nonostante una legge impedisca il lavoro minorile qui si inizia a scavare da ragazzini. Quando cominciano le vacanze al Cerro sono tre o quattro mila i minori che lavorano.          Questa terra che era la più ricca, ora è diventata una delle regioni più povere della Bolivia. La nostra guida dentro la miniera di San Juan de Dios, si chiama Freddy. Ha appena compiuto 19 anni, più della metà trascorsi in miniera. Per dare una mano in famiglia è diventato minatore: ha fatto molte mansioni nella miniera. Nelle miniere si lavora senza mascherina perché l’attrezzatura devono comprarla personalmente i minatori. Se devono comprare tutto, dei 200 boliviani, resta molto poco. Da secoli i minatori di Potosì vivono sotto terra anche a 45 gradi di temperatura.         Sono ossequienti alla divinità della miniera, chiamata el Tio perché se lo preghi, secondo un’antica credenza, ti fa trovare una buona vena argentifera e ti preserva dai pericoli. Se sapessero, che la divinità è stata aggiunta dagli spagnoli per costringerli a lavorare di più, sfruttando la loro superstizione. Ora che Potosì ha ripreso a esportare l’argento, la miniera ha ricominciato a far lavorare dei bambini.