Pozzo dei desideri

Gli invisibili


Prendo a pretesto un titolo già utilizzato da altri per discutere nel mio consueto intervento mensile, assieme ai miei attenti lettori, di un fenomeno secolare che riguarda tutti i membri di una collettività civile e che non sempre trova spazio nei quotidiani e che non sempre ad esso si rivolge l’attenzione dovuta. Parlo naturalmente del vagabondaggio. Nelle mie escursioni quotidiane nella mia bella quanto mai folle città, sempre più spesso i miei occhi interessati si scontrano con il fenomeno in questione: vecchini gracili che rovistano nei bidoni stracolmi di pattume, per strada, alla ricerca di rifiuti utili e non ancora andati a male; giovani dalle teste aggrovigliate stesi su lunghi cartoni circondati da branche di cani sporchi e dagli occhi famelici; e ancora, donne discinte e scalze con grigi capelli che si trascinano per strada sbiascicando parole incomprensibili; o magari vecchi incappucciati che girano su se stessi all’infinito gridando di aver fame; ancora ambulanti canterini dalle bocche sdentate. Sono tanti. Sono folli. Sono tristi. Sono arrabbiati. Sono soli. E sembra che non parlino, sembra che non pensino, mentre coinvolti dalle nostre faccende quotidiane, ci passiamo frettolosamente davanti. Gettando un’occhiata furtiva, e quasi scappando e sperando che non chiedano l’elemosina proprio a noi. E tappandoci il naso immacolato a causa del cattivo odore che li accompagna. E scostandoci quando ci sfiorano, come se fossero pericolosi. In realtà sono lasciati ed abbandonati a se stessi, alla deriva come barche senza timone. Forse meno fortunati di altri, forse per scelta, forse perché costretti. Ma sicuramente soli. E muti. mpagna.arche senza timone ane, passiamo frettoosamente ici; eIl fenomeno del vagabondaggio riguarda tutti noi. E quei vagabondi rappresentano un po’ anche noi in prima persona. Quella parte di noi che vagabonda ed è lasciata a se stessa. Quella parte di noi che può andare a male se non la aiutiamo a migliorare grazie ad uno scrupoloso esame di coscienza.Orbene, non si può sempre far finta di nulla. Per quanto i nostri occhi fingeranno di non vedere, per quanto tempo ancora le nostre orecchie fingeranno di non ascoltare. E se provassimo a sperimentare invece l’utile pratica alla “maniera romana” della cum patior ( è doveroso ricordare che “compassione” deriva dall’unione di queste due paroline latine che stanno appunto a significare soffrire assieme”)?. L’immedesimazione cioè nei panni altrui? La nostra coscienza civica ne uscirebbe vincitrice senza dubbio! E allora quelle ombre acquisirebbero corpo ed anima e le loro bocce una voce. Suggerisco pertanto anche una rilettura approfondita del inimitabile quanto acuto Cartesio che, col suo cogito, ergo sum, ci esorta a giustificare la nostra esistenza con l’ausilio del pensiero. Adoperiamoci per far si che che le nostre coscienze non si assopiscano nel torpore del sciatteria e dell’indifferenza! Affinché noi tutti non diveniamo altrettanti invisibili.edito da " Stampa e Comunicazioni News"