Creato da peters80 il 09/05/2010

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la mimosa

Post n°18 pubblicato il 02 Novembre 2010 da peters80

 
 
 

la mimosa

Post n°17 pubblicato il 02 Novembre 2010 da peters80

La mimosa, fragile e gentile.

In un paese lontano, all'altro capo del mondo, nell'isola di Tasmania, ed in un tempo altrettanto lontano, nacque il fiore della mimosa. 
Gli abitanti dell'isola ne raccontano la leggenda.
In quel tempo, l'isola era dominata da un re guerriero, molto coraggioso e bello, alto ed agile, di pelle scura e coi capelli neri e lucenti come l'ala dei corvi, ma col cuore indurito dalle numerose battaglie. Così era tutta la sua gente: alta, scura di pelle e brusca di modi, con lunghi, lisci capelli a incorniciare il viso severo. Essi amavano i combattimenti contro le numerose tribù nemiche, e le cacce pericolose alle belve che infestavano l'isola. Combattimenti e cacce che affrontavano con altre grida crudeli, per spaventare il nemico.
Un giorno, durante l'ennesimo combattimento, il re venne gravemente ferito. 
La madre e la sorella del re amavamo molto il loro caro, ma non amavano affatto la sua bella e giovane moglie, che non giungeva gradita al loro cuore, duro quanto quello di lui. La giovane regina era una creatura del tutto diversa, piccola di statura, timida e gentile, con i capelli arruffati in corti riccioli, biondi come batuffoli d'oro, la pelle dorata come miele puro e una bassa voce soave che sembrava una musica. 
Pareva giunta lì da un altro mondo, la piccola regina, da un mondo di fiori, di sorrisi e di pace. Le due donne, scarne, scure e crudeli come il loro congiunto regale, erano inevitabilmente gelose della dolce, tenera bellezza di lei.
Approfittando della timidezza della piccola sposa, le due donne si precipitarono a curare il loro congiunto, trattenendo con vari pretesti la moglie lontana dalla tenda dove giaceva il ferito. Lei si disperava, perché era molto innamorata di quel suo marito rude e forte, ma non osava far valere i propri diritti di moglie, dimentica, nel suo sgomento, che erano anche doveri, temendo di far cosa sgradita alla suocera ed alla cognata, e quindi di turbare la convalescenza dell'uomo che amava. 
La piccola regina era sola, nessuno la consigliava, perché i cortigiani, con la viltà dei deboli, si erano schierati dalla parte che intuivano più forte, e crudele, in quella lotta silenziosa per impadronirsi del cuore del Re.
Passarono i giorni, che divennero settimane, e poi mesi. Quando infine il Re fu guarito era ormai solo desideroso di punire la piccola regina le cui visite aveva tanto aspettato, senza che il suo orgoglio di re gli avesse permesso di ordinare la presenza della donna che nel suo cuore invocava. E dunque il Re bandì dal suo cospetto, senza esitazione, la giovane moglie innocente, senza nemmeno volerne ascoltare le ragioni, tanto il solo vederla, ormai, gli riusciva sgradito.
Giunse infine il fratello a riprendersela, il fratello, della stessa impietosa razza del Re. 
Venne per riportarla a casa, ripudiata, libera, lei che era cinque volte madre, di darsi ad un altro uomo. 
Ed in soli sette giorni il fratello la rimaritò ad un Principe di luoghi lontani, distanti dal regno dal quale la piccola regina era stata senza colpa bandita.
Pure, timida e dolce com'era, la piccola, infelice Azar, ormai senza più lacrime né desideri, non si ribellò al suo destino. Chiese soltanto, come dono di nozze, un velo che le consentisse, nel lungo viaggio per raggiungere la sua nuova dimora, di coprirsi il volto ed il corpo, per non essere riconosciuta quando fosse passata dalle terre di Asan, padre dei suoi figli e crudele signore, poiché l'incontro coi suoi piccoli le avrebbe senza alcun dubbio spezzato il cuore.
Il Principe suo nuovo sposo era meno duro di cuore di Asan, e in qualche modo la disarmata dolcezza della piccola regina scacciata dal suo regno ebbe a parlare al suo cuore. La giovane ebbe dunque il suo velo, col quale si ricoprì interamente. Ma quando passò davanti alla reggia che era stata sua, i figli di lei, che ogni giorno spiavano dall'alto delle torri il ritorno della madre, la riconobbero nonostante il lungo velo ed accorsero piangendo e invocando a gran voce il suo ritorno.
Ancora una volta, Azar fece appello alla pietà del suo nuovo Signore, chiedendo che le fosse consentito fermarsi un momento, e lasciare un dono a ciascuno dei figli. Ed il Principe ebbe ancora una volta pietà della piccola sposa disperata, e acconsentì alla richiesta. Così, Azar poté regalare ai suoi bambini stivali trapunti d'oro, e lunghe, ricche vesti alle fanciulle, e lascio un abitino per il più piccolo, che dormiva ignaro nella culla. Il padre però, da lontano, vide tutto questo, e richiamò a sé i figlioli, che dimenticassero in fretta la madre indegna di loro.
Azar sentì quella voce dura dettare ancora una volta il suo destino, e ancora non seppe trovare parole a difesa della sua inutile innocenza. Si accasciò allora, ormai sfinita dall'ingiustizia e dal dolore, e sopra di lei il lungo velo di nuova sposa si posò pietoso a coprirla da tutti gli sguardi.
Andò più tardi il suo nuovo Signore a riprendersi l'infelice creatura, deciso a regalarle una vita intera di felicità. Ma ormai il destino di Azar era giunto a compimento. 
E fu così che il Principe pietoso, sotto il lungo velo che era stato il suo dono di nozze, non trovò che un fragile arbusto fiorito di mimosa, ben abbarbicato con le sue radici alla terra, deciso a non lasciarsi strappare dal luogo dove era tutto il suo cuore, i piccoli fiori odorosi a ricordare ai figli di Azar i batuffoli biondi che ricoprivano il capo della loro madre, al tempo in cui era stata felice.
Ad Azar, così dolce, remissiva, obbediente e infelice, il tempo renderà poi giustizia alla sua bizzarra maniera: perché il fiore nato da lei verrà riconosciuto da tutte le donne come il simbolo della propria presa di coscienza, e della capacità di decidere esse stesse il proprio destino. 
Apparentemente delicato, in realtà forte e resistente, impossibile da sradicare, contro il suo volere. 

 

 
 
 

la leggenda dell'asino

Post n°16 pubblicato il 31 Ottobre 2010 da peters80

C'era una volta....un Asino..
di un contadino che cadde in un pozzo.
Non si era fatto male, ma non poteva più uscirne.
L'asino continuò a ragliare sonoramente per ore ed ore,
mentre il proprietario pensava al da farsi.
.... il contadino.... prese una decisione... crudele:
concluse che l'asino era ormai molto vecchio e che
non serviva più a nulla, che il pozzo era ormai secco
e che in qualche modo bisognava chiuderlo.
Non valeva pertanto la pena di sforzarsi per tirare fuori l'animale dal pozzo.

Chiamò i suoi vicini perché lo aiutassero a seppellire vivo l'asino.
Ognuno di loro prese un badile e cominciò a buttare palate di terra
dentro al pozzo.

L'asino non tardò a rendersi conto di quello che stavano facendo con lui
e pianse disperatamente.
Poi, con gran sorpresa di tutti, dopo un certo numero di palate di terra, rimase quieto.

Il contadino alla fine guardò verso il fondo del pozzo e rimase
sorpreso da quello che vide.
Ad ogni palata di terra che gli cadeva addosso, l'asino se ne liberava,
scrollandosela dalla groppa, facendola cadere e salendoci sopra.
In questo modo, in poco tempo, tutti videro come l'asino riuscì ad arrivare
fino all'imboccatura del pozzo, oltrepassare il bordo e uscirne trottando.
Ti chiederai il perchè di questa storia...
Prova a pensare come l'asino...
La vita ti potrebbe rovesciare addosso molta terra,
di ogni tipo.
Principalmente se sarai dentro "un pozzo" il segreto per uscirne
consiste semplicemente nello scuotersi di dosso la terra che si riceve
e nel salirci sopra.


Ricorda le cinque regole per essere felice:
1- Libera il tuo cuore dall'odio
2- Libera la tua mente dalle preoccupazioni.
3- Semplifica la tua vita.
4- Da'di più e aspettati meno.
5- Ama di più e... accetta la terra che ti tirano addosso, poiché essa può costituire la soluzione e non il problema.

 
 
 

la leggenda del botton d'oro o ranuncolo

Post n°15 pubblicato il 31 Ottobre 2010 da peters80

LA LEGGENDA DEI BOTTON D’ORO

Sopra Pieve di Cadore, sul monte Rico, dove ora ci sono i ruderi di un forte, sorgeva una volta un castello, era un castello con un grande parco e vi abitava un re. Questo re aveva naturalmente una moglie, la regina, ed un figlio, il principe.

Il principe era scapolo e i suoi genitori desideravano disperatamente che si sposasse; gli avevano fatto conoscere tutte le principesse della zona, ma a lui nessuna andava bene.

" Mi sposerò solo per amore, e quando troverò la ragazza giusta." Diceva.

Vicino a Pieve c’è un altro paese, Tai, che ora si trova nella vecchia val del Boite, ma che a quei tempi era nella val del Boite, visto che il fiume non aveva ancora deviato il suo corso. Le ragazze si recavano ogni giorno in un posto chiamato "la Peschiera" dove l’acqua faceva un’ansa e scorreva un po’ meno rapida, a lavare i panni. Anche i giovanotti vi andavano per far la corte alle ragazze. Ce n’era una, Gemma dalle lunghe trecce bionde, che era la più bella. Sembrava davvero una regina quando, col cesto dei panni lavati posato sulla testa ,avanzava ancheggiando. Scendeva al fiume con la sorella Ughetta, carina anche lei, ma che non reggeva il paragone.

Gemma era quasi fidanzata con Armando, un gran bel ragazzo che le altre le invidiavano, perché tutte erano segretamente un po’ innamorate di lui. Quando, dopo aver finito di lavare, si apprestava a tornarsene a casa, lui l’affiancava per tutta la strada e le cingeva la vita con il braccio.( Io trovo che avrebbe fatto meglio a portarle la cesta dei panni ) .

Un giorno in carrozza passarono il re e la regina, seguiti dal principe a cavallo. Armando quella sera non c’era e Gemma e Ughetta avanzavano con la cesta sul capo. Come le vide il principe fermò il cavallo e, indicando Gemma, disse ai suoi genitori che, nel frattempo ,avevano fermato la carrozza: " Io sposerò quella ragazza."

Detto fatto la fece salire sul cavallo e la portò a palazzo reale. La fanciulla fu rivestita di nuovo ed iniziò il periodo del fidanzamento.

Non si può dire che alla reggia non si trovasse bene; bei vestiti, buoni cibi, e poi il principe era anche simpatico. La portava a spasso per il parco che arrivava fino al roccolo di sant’ Elpidio e da lì poteva ammirare il Piave, che scorreva in fondo alla valle, e, di lontano, le Marmarole. Di tanto in tanto scendevano a Pieve dove, alla locanda Tiziano, potevano bersi un succo di mirtilli.

Ma Gemma non era del tutto felice, si rendeva conto dell’enorme fortuna che le era capitata ma, sotto sotto, le serpeggiava una certa inquietudine. Era stata prescelta e questo, sul principio, aveva stuzzicato il suo orgoglio, ma un po’ alla volta aveva cominciato a sentirsi un oggetto senza volontà. Il principe era gentile e simpatico, ma aveva detto subito:" Io sposerò quella ragazza." Dando per scontato che "quella ragazza" fosse d’accordo.

Il giorno delle nozze Gemma fu rivestita di un abito bianco su cui spiccavano dei bottoni d’oro fatti a forma di fiore. Si guardò allo specchio e si vide bellissima, ma la gioia non c’era, si sentiva intrappolata in una gabbia d’oro. Le prese una gran nostalgia del suo mondo, di Armando, che certamente l’amava, delle amiche, della sorella Ughetta. "Chissà come sentiranno la mia mancanza!" pensò. Senza riflettere uscì dalla reggia, scese nelle scuderie, salì su un cavallo e via, al galoppo verso la Peschiera! Era l’ora in cui le ragazze, terminato il bucato, tornavano a casa. Gemma le vide che camminavano altere con la loro cesta sulla testa chiacchierando e ridendo, davanti a tutte c’era sua sorella Ughetta con al fianco Armando, che delicatamente, con un braccio le cingeva la vita.

" Ho contato così poco per loro che mi hanno già dimenticata! –pensò con dolore Gemma –ed io che ho lasciato una reggia!"

L’acqua del fiume scorreva rapida e tumultuosa " Vieni, - sembrava dire – io sono il rimedio per tutti i tuoi mali!"

La ragazza salì sul moletto lì vicino e si gettò tra i flutti. Ma... non morì. Si trovò tutta sporca di fango, ma viva. Era successo che il Boite aveva scelto proprio quel momento per cambiare corso. In quel mentre sopraggiunse a cavallo il principe.

"O mia bella Gemma non te la sentivi di sposarmi? Perdonami, mi rendo conto di aver sbagliato, ho deciso tutto io senza chiedere mai il tuo parere. Non ti ho nemmeno chiesto se mi volevi sposare.!"

Lei scoppiò a piangere e le lacrime le lasciavano righe chiare sulla faccia nera di fango.

Lui l’aveva capita e la trovava ancora bella, nonostante fosse sporca e infangata. Con un groppo alla gola gli chiese: "Vuoi sempre sposarmi, o mio principe?"

"Certo – rispose – se tu mi vuoi, vedrai che saprò farmi amare da te."

Ma lei già lo amava e non solo perché era il principe ,ma anche perché era un uomo che sapeva capirla.

Tornarono alla reggia e celebrarono le nozze con grande pompa.

Dopo la festa una cameriera prese il vestito infangato per ripulirlo e si accorse che mancavano i bottoni d’oro a forma di fiore. Si erano staccati quando Gemma si era buttata nel fango; ma per quanto li cercassero, nessuno riuscì a trovarli.

Da allora ,tutti gli anni a primavera ,alla Peschiera, che ora è una zona umida all’uscita dell’abitato di Tai verso Valle, fioriscono i Botton d’oro, i bei fiori gialli della famiglia delle ranuncolacee, per ricordare la storia della bella Gemma che sposò il principe.

 
 
 

papavero

Post n°14 pubblicato il 31 Ottobre 2010 da peters80

a primavera inostrata ecco il papavero...esplosione di colore, passionale, dinamico, eppur fragile

 
 
 

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