BDsM

BDsM e Codice Penale (Parte Seconda)


   Il nostro amico Prof. ci ha fatto attendere ma ci ha anche regalato una gradita sorpresa: ci ha consentito di intervistare gli uomini politici che hanno portato in Parlamento la proposta di legge di cui parlammo l'altra volta.   Ecco infatti qui di seguito la trascriione della stessa:On FEDERICO PALOMBA, intanto grazie per averci ricevuto. Vuol'essere così gentile da illustrarci il suo punto di vista sulla proposta di legge cosiddetta "sulla tortura"?    "Vorrei esprimere poche considerazioni su questa proposta di legge, che introduce finalmente e doverosamente nel nostro ordinamento giuridico un'ipotesi delittuosa che non era prevista ed il cui inserimento mette il nostro ordinamento giuridico alla pari con quelli più moderni, rispondendo ad alcune direttive di carattere sovranazionale ed internazionale.La scelta compiuta dalla Commissione nella formulazione di questo testo è asciutta e riduttiva non in senso negativo, ma nel senso che esso è stato davvero sfrondato di tante considerazioni che lo avrebbero potuto appesantire.Con riferimento al complesso degli emendamenti presentati vorrei esprimere alcune considerazioni, in particolare sull'entità della pena edittale inflitta nel suo minimo.La Commissione ha discusso a lungo sulla possibilità di prevedere una pena da un minimo di un anno sino alla pena massima di dodici anni, ma è sembrato che si trattasse di un'escursione troppo rilevante che avrebbe attribuito una discrezionalità eccessiva al giudice, dinanzi alla quale il principio di ragionevolezza avrebbe potuto portare la Corte costituzionale a ritenere questa escursione stessa non congrua.Si potrebbe quindi arrivare ad una riduzione da quattro a tre anni, ma non ad un anno (su tale aspetto la Commissione è stata abbastanza ferma).Una seconda considerazione riguarda la condotta materiale: in altri termini, ci si interroga se il delitto di tortura debba essere qualificato come un reato a condotta plurima, oppure possa essere definito anche solo come un delitto a condotta limitata o unica.La II Commissione ha espresso al riguardo un orientamento abbastanza uniforme, poiché ha ritenuto che alla tortura sia connaturata una pluralità di comportamenti lesivi, i quali consistono in violenze, lesioni o minacce gravi: in tal senso, quindi, considero il testo presentato apprezzabile. Vorrei infatti osservare che, al contrario, parlare di «minaccia grave» potrebbe far pensare che anche un solo atto di minaccia, seppur grave, possa concretizzare il delitto di tortura. Ciò non è concepibile, poiché, come già affermato, alla tortura è connessa la ripetizione e la pluralità di atti.Questo argomento, introduce tuttavia una terza considerazione, attinente non ad una proposta emendativa specifica, ma ad un aspetto che, pur non potendo essere preso in considerazione in questa fase, meriterebbe comunque attenzione in un momento successivo.Infatti, il reato di tortura, così come è stato configurato nel testo all'attenzione dell'Assemblea della Camera dei deputati, si presenta come un delitto «finalistico»; in altri termini, l'obiettivo della tortura deve essere quello di convincere una persona a fare determinate affermazioni o ad astenersi dal commettere determinati comportamenti, oppure quello di punire in maniera vendicativa alcune condotte, ritenute negative, che si sono già verificate.Ritengo tuttavia che, anche nell'accezione comune, si possa fare riferimento al concetto di tortura in tutti questi casi nei quali la commissione di un reato, nelle modalità concrete in cui si è espressa, vada al di là delle manifestazioni tipiche del comportamento.Voglio dire, in altri termini, che esistono casi e situazioni nei quali, per commettere un certo reato (come, ad esempio, una violenza sessuale o un omicidio), non è necessario far premettere a tale condotta tipica altri comportamenti che, di per sé, sono rivolti ad infliggere gravi sofferenze alle persone.Segnalo che su tale aspetto la Commissione giustizia ha ritenuto che non fosse questa la sede opportuna per presentare una proposta emendativa in tal senso, ed io stesso mi sono astenuto dal farlo. Credo, tuttavia, che si debba richiamare l'attenzione sia dell'Assemblea, sia dei componenti della stessa Commissione giustizia della Camera, sull'esigenza di introdurre, successivamente, un'ipotesi delittuosa che preveda l'inflizione di sofferenze inutili e soverchianti rispetto a quelle necessarie per commettere un singolo reato. Si tratta di un'ipotesi che oggi non è prevista, se non con delle attenuazioni di pena.Per quanto riguarda poi cio che che a voi interssa maggiormente, io ritengo difficilmente applicabile l'articolo stesso poiché, di per se, mancano i presupposti di causalità e di fine."Ringraziamo l'On. PALOMBA per il suo tempo e la sua cortesia e sentiamo cosa ha da dire, nel merito di questo articolo, l'On. SERGIO D'ELIA (Rosa nel Pugno):"Ritengo molto importante il provvedimento in esame, anche perché abbiamo accumulato un ritardo di quasi vent'anni nell'adempiere ad un preciso compito, un dovere che il nostro paese si era dato nel momento in cui, nel 1988, ha ratificato la Convenzione delle Nazioni Unite contro la tortura. In tale Convenzione è prescritto che gli Stati membri parte della Convenzione debbano recepire nel proprio ordinamento la fattispecie di reato di tortura, il che con enorme ritardo stiamo - spero - realizzando.È tanto più importante il provvedimento in esame quanto più consideriamo che si è aperto, a livello internazionale, negli Stati Uniti certamente, ma anche nel nostro paese, un dibattito sull'opportunità di introdurre, nell'ordinamento, una forma di tortura legalizzata.La domanda se la sono posta fior fiore di intellettuali. Nel nostro paese, Angelo Panebianco a più riprese sul Corriere della Sera si è chiesto se tramite tortura noi possiamo acquisire informazioni utili, che possano impedire attentati terroristici o comunque atti criminali che metterebbero in pericolo la vita di molte vittime innocenti. La risposta di Panebianco è stata positiva: sì, lo possiamo fare, possiamo esercitare una forma di forza fisica, violando la sfera di intangibilità della persona, la sua integrità fisica - aggiungerei anche la sua dignità -, quando in gioco c'è un bene superiore, la sicurezza della nostra società o addirittura della nostra civiltà.La stessa domanda, con identica risposta, se l'è posta negli Stati Uniti un campione dei diritti umani e dei diritti civili, l'avvocato Alan Dershowitz, il quale ha proposto nella lotta al terrorismo l'introduzione di una forma di tortura legale, proporzionata - lui dice - alla gravità del pericolo, regolamentata e soggetta alla giurisdizione, con un magistrato quindi che decide il limite di questa forma di pressione e di violenza, in quali casi si potrebbe applicare, quali forme di pressione psicologica e sofferenza fisica si potrebbero effettuare. Immagino lui pensi a quante ore di insonnia forzata, a quante scosse elettriche e in quali parti del corpo, a quanti litri di acqua e sale da far ingoiare oppure a quanti secondi immergere nell'acqua fino al limite dell'annegamento. Queste sono evidentemente le forme di tortura che si possono esercitare nei confronti di una persona, per farla confessare, per scongiurare un pericolo.A me ciò sembra davvero una follia. Credo sia un'illusione, ma anche una tragedia, che si possa pensare di rispondere alle emergenze del nostro tempo, della nostra società - la mafia, il terrorismo o quant'altro - con tutto l'armamentario militaresco delle emergenze: le leggi speciali, i tribunali speciali, le carceri speciali ed oggi magari anche forme di tortura legalizzata. Penso invece che bisogna provare a rispondere in modo diverso, cioè con mezzi che prefigurino il fine che ci proponiamo e non con mezzi o comportamenti, che quel fine rischiano di pregiudicare e di distruggere. Leonardo Sciascia ricordava che la mafia - ma può valere anche per il terrorismo di oggi - si può combattere efficacemente non con la terribilità, ma con il diritto. Perché se il fine è la democrazia, la civiltà, la libertà, la giustizia e il diritto, i mezzi adoperati per conseguire quel fine devono essere coerenti con il fine stesso e quindi democratici, civili, giusti, rispettosi del diritto e dei diritti umani. La libertà dalla paura e dal terrore non si conquista con la paura e con il terrore. La forza e la sicurezza di uno Stato, di una comunità, stanno innanzitutto nel diritto. Ma cos'è il diritto, se non il limite, che noi decidiamo di porre - di imporre, direi - a noi stessi, al nostro sacrosanto senso di giustizia, di rivalsa ed anche di legittima difesa. E il limite è stabilito, a parer mio, proprio dalla inviolabilità, dall'intangibilità della sfera personale di una persona detenuta o comunque sottoposta a privazione della libertà.Dall'introduzione di forme di tortura legale deriverebbero solo costi e nessun beneficio. Quale sarebbe l'immagine del nostro paese, o di un qualsiasi paese democratico, se appunto introducessimo forme di tortura legalizzata? Il danno per la civiltà giuridica di un paese sarebbe incalcolabile e l'effetto pratico poi assolutamente zero. Il terrorismo lo combattiamo con efficacia se lo Stato è forte, e lo Stato è tanto più forte se nel combatterlo non viene meno ai suoi principi fondamentali.Per queste ragioni riteniamo di dover introdurre finalmente nel nostro paese la fattispecie del reato di tortura. La formulazione che oggi stiamo per approvare non è esattamente identica a quella che avremmo dovuto recepire, sancita dall'articolo relativo alla tortura presente nella Convenzione delle Nazioni Unite. A me sarebbe piaciuta più quella formulazione, perché non ricomprende soltanto i casi di tortura esercitati con forme di violenza o di pressione e minaccia fisica, ma anche quelle dettate dalle pressioni psicologiche e dalle condizioni in cui una persona detenuta è costretta a vivere.Non si tratta di una discussione teorica: nel nostro paese esistono forme di carcerazione che vanno sotto il nome di «carcere duro»; in realtà, in base ad un articolo diventato legge ordinaria del nostro paese e del nostro ordinamento penitenziario, come il 41-bis, esistono sezioni in cui sono detenute persone che, per il solo fatto di essere, non dico condannate o rinviate a giudizio, ma anche solo indagate per reati di terrorismo o mafia, sono impedite nell'esercizio di diritti umani fondamentali, in particolare dei diritti penitenziari. Nelle sezioni di cui al 41-bis si esercitano secondo il diritto internazionale, ma non secondo l'articolo sulla tortura che stiamo per approvare, forme di pressione psicologica, dettate dalle condizioni ambientali come la possibilità di avere solo un colloquio al mese, la presenza del vetro divisorio, la limitazione nella corrispondenza. Si tratta di forme per le quali - a parer mio - si esercita una pressione psicologica che rasenta la tortura.Dal 41-bis si esce soltanto (e in questo caso interviene la letteralità dell'articolo sulla tortura sancito nel diritto internazionale) se si forniscono informazioni, se si collabora con la giustizia, se si decide di mandare in galera altre persone. Si tratta di una forma di tortura anche questa. Non stiamo discutendo di chi ha commesso reati (o magari di reati per cui si è solo indagati e non condannati), ma di che fine fa lo Stato di diritto quando tratta quelle persone come sta facendo. Non ritengo quindi evidentemente applicabile alla fattispecie di vostro interesse l'articolo in discussione anche perchè l'intenzione del legislatore è finalizzata agli ambiti precedentemente descritti. E' pur vero che, in ogni caso, sarebbe opportuno una discussione specifica sull'argomento anche se, a causa della sua intrinseca scabrosità, non sarebbe agevole nemmeno proporla in ambienti istituzionali."