Creato da Normanno06 il 03/05/2008

THE FLY

Il volo del Professor Laquaglia

 

 

Michele Papadia, il Barone Rosso, le biodiversità e... la parmigiana di mammina....

Post n°45 pubblicato il 28 Agosto 2009 da Normanno06
 
Foto di Normanno06

Trentasei  anni e una vita divisa in due, come una mela. Diciotto anni nella “sua” Martina Franca e diciotto in giro per il mondo a predicare il verbo di Mister  Laurens Hammond, autentico genio analogico del secolo scorso, inventore dell’omonimo organo elettronico. Della corrente spirituale legata a questo strepitoso strumento musicale, Michele Papadia,  anch’egli eroe del drappello della migliore martinesità, è un autentico “gran sacerdote”.  Lo incontro al wine-bar “L’Anfora”, prima di un imperdibile cameo dedicato a (purtroppo) pochi intimi  per l’organizzazione di  Pasquale Angelini.  Ha uno sguardo sincero e limpido, non troppo diretto ma  innestato su una solida postura che ne fa un personaggio magnetico anche fuori dallo stage. Da perfetto cittadino del mondo ha perso quasi del tutto l’accento pugliese ma sicuramente l’imprinting martinese rimane. Me lo conferma lui stesso: “qui sono cresciuto e mi sono formato, qui vive la mia famiglia ed è qui che torno, quando posso, per stare insieme a loro”. Il confronto con Michele Papadia mi serve pochissimo come verifica alle mie teorie sull’esistenza della martinesità (probabilmente lui segue pochissimo le dinamiche della nostra città) ma è fondamentale per capire quanto l’ambiente martinese possa aver influito sulla sua formazione.  Infatti è qui, in Valle d’Itria, che avviene il misterioso processo che trasforma alcuni uomini in artisti puri premiando pochi eletti.  Ma quello che colpisce maggiormente nella parabola artistica di Michele Papadia è la capacità, realmente impressionante, di esprimere  il suo genio in un filone antropologicamente distante da lui anni luce: la black music, il fiume nero, impetuoso ed inarrestabile della musica afroamericana, che dal secolo scorso si ingrossa dei suoi numerosi affluenti: Jazz, blues, swing, rock&roll, soul, funky, rythm&blues e gospel. Beh, Michele Papadia, classe 1972, cittadino italiano di Martina Franca,  di carnagione e occhi chiari, razza caucasica (come usa dire nei polizieschi americani), può passeggiare a suo piacimento in ognuno di questi paradisi, che non sono divisi da porte ma solo da stati d’animo e tecniche diverse, con la stessa disinvoltura con cui noi comuni mortali passiamo dalla cucina al soggiorno di casa nostra.  Per usare un termine caro agli ecologisti: Michele Papadia è una bio-diversità!  Tutto questo gli procura una grande reputazione a livello mondiale ed un palmares ricco di collaborazioni “stellari”. Ne parliamo nella pausa tra  il sound check e la performance: “ho collaborato con moltissimi artisti italiani ed internazionali ma sicuramente con due di loro in particolare ho riscontrato grandi affinità artistiche ed umane: Brian Auger, (autentico golem planetario  delle tastiere )con cui ho inciso due album e Rudy Rotta (quattro tour insieme)”. Sciorina una lista di collaborazioni da far tremare i polsi, evoca nomi di star di prima grandezza. Ne cito solo alcuni per motivi di spazio: Mia Cooper, Patti Austin (uno dei miei idoli, ndr, ai “camalli” del peer to peer consiglio di farsi un favore col cd “love is gonna getcha, ed. GRP), Whitney Houston, Jessy Jackson, John Mayall, l’indimenticabile Gabriella Ferri, Tiziana Ghiglioni, Ares Tavolazzi (bassista del mitico gruppo progressive “Area”), Jovanotti (si proprio lui, il Lorenzo nazionale per cui ha suonato nel cd “buon sangue”), Bruce Cox, Articolo 31 e pure il bravo cantautore Davide Van De Sfross, poeta delle langhe comasche e del “profondo Nord”, Paolo Fresu e Roberto Gatto (solo per citare due mostri sacri del jazz italiano e mondiale).  Ho poco tempo, sta per iniziare il concerto e Michele deve raggiungere un gruppo di amici che lo attende: tra loro una persona che lo guarda con occhi diversi e che lui mi presenta con orgoglio. E’ miss Holly Hughes, una bella americana dell’Illinois dai capelli dello stesso colore del mais che in quella terra abbonda …. E da dove poteva venire la futura “signora Papadia” se non dalle terre che ospitano Chicago, St. Louis e Missouri, altrettante tane della black music? Un’altra cifra distintiva del passaporto internazionale di Michele! Devo fare in fretta ora se voglio estorcergli qualcosa di “martinese”. La domanda è a bruciapelo: chi ricordi con maggior affetto tra le tue amicizie di gioventù? Risposta netta: “Umberto Calentini, che reputo un mio fratello maggiore. E’ lui che mi ha trasmesso l’amore per la musica afroamericana. Gli devo molto come artista e come uomo”. Umberto Calentini, contrabbassista dei bravissimi “Guy e gli specialisti”, è un altro “sorvegliato speciale” di questa indagine sulla martinesità essendo nostro concittadino (ora vive a Bitonto) ed artista di rango. Uomo avvisato…. Lo splendido vino rosso offerto dall’Anfora per incorniciare questo incontro è quasi terminato ed il tempo non consente un rabbocco. Michele qual è il piatto martinese che preferisci? “La parmigiana di mammina!!!!” ribatte la star. Parte la musica e Michele si approccia ai tre  eccellenti compagni di viaggio come un terzino di fascia. Si crea il suo spazio, salta l’ostacolo e serve deliziosi cross per i suoi centravanti, sax (Francesco Lomangino) e tromba (Alfredo Sette). Dietro Pasquale Angelini è una sicurezza ritmica. Ma quando tocca a lMichele  gestire si cambia registro: prima rulla in pista ad occhi chiusi, quasi trasognato. Poi quando la torre di controllo concede il lift-off fa volare il  suo Hammond scarlatto, sembra il Barone Rosso ai comandi del suo Fokker. Lo porta in quota e gli strizza il collo fino allo stallo. La salita sulla tastiera sembra non finire mai. Poi giù, a perdifiato in picchiate pastose che solo questo strumento straordinario può offrire.  Ci salutiamo a fine concerto. Non capita tutti i giorni di incontrare uno dei migliori interpreti Hammond del pianeta. In nome delle sue radici che lo tengono ancora sotterraneamente legato a questi luoghi, gli chiedo se sarà possibile rivederlo da queste parti: “credo che il mio amore per la musica afroamericana sia intimamente legato al fatto di essere nato qui, in questo pezzetto di mediterraneo. Potrei anche considerare l’ipotesi di dedicare qualche futuro brano a questa dimensione della mia vita. E magari, se le condizioni  e gli impegni in tourneè lo permetteranno si potrebbe organizzare un concerto”.  Peace & Groove, signor Papadia!
Con affetto "swing",
Prof. Gustavo Laquaglia

 

 
 
 

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