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Post N° 8


Dal dire al fare della gioventù I sociologi registrano da anni le crescenti difficoltà dei giovani che, per lo più per oggettive difficoltà economiche (ma non solo) restano tali fino alla veneranda età dei 35 anni e passa. Come distinguere le due categorie di “giovane” e “non giovane”? Di convenzioni si tratta e gli studiosi hanno convenuto che il passaggio dall'una all'altra sia dovuto “all'assunzione delle funzioni e delle competenze dell'età adulta”. Una transizione che si snoda in cinque tappe: 1) quando il giovane esce definitivamente dal circuito formativo; 2) quando entra in modo continuativo nel mondo del lavoro, 3) quando affrancandosi dalla famiglia di origine raggiunge - con l'indipendenza economica - un'autonomia esistenziale, liberandosi dalla tutela dei genitori; mentre la quarta e la quinta non sono indispensabili per il conseguimento dello status di adulti a livello  individua-le anche se sono essenziali alla sopravvivenza della società e dunque fortemente caricate di significati: 4) quando forma una nuova famiglia (istituzionale o meno), 5) quando assume il ruolo di genitore alla nascita dei figli. Se negli anni '80 questo percorso si compiva in media entro i 24 anni, negli anni '90 la soglia dell'entrata nell'età adulta si è spostata in avanti fino ai 29 anni, mentre oggi siamo intorno ai 35. In un tempo molto contratto (dagli anni '80 ad oggi) l'età giovanile si è allungata di ben 10 anni. Un cambiamento così rapido e drammatico non poteva non creare un forte impatto sulla vita, le aspettative, la capacità (difficoltà) di adattamento delle generazioni interessate. Nel mondo del lavoro, nel privato, come anche in politica, è proprio quell'autonomia esistenziale che viene a mancare. Perché il precariato, ma al contempo l'abitudine alla sicurezza nel'abitudine alla sicurezza ne tarpano le potenzialità. quelli dell'organizzazione. E così se una scelta appare troppo radicale o di rottura, e quindi rischiosa, si preferisce rinviarla, attutirla, graduarla, anche oltre ogni limite ragionevole. Prevalgono, insomma, l'autoreferenzialità, lo spirito di conservazione, l'arroccamento. E si perdono occasioni, credibilità e consenso. . Come può allora un circolo politico come “La Margherita “ a Caulonia  riappropriarsi di quella che era una funzione tipica dei partiti , e cioè la selezione di nuove energie per la classe dirigente del domani? Non si tratta di nostalgie e non bisogna guardare ad un passato che non c'è più e di cui sarebbe inutile oggi rinverdire la mancanza. Si tratta semplicemente di rendere la macchina più funzionale e rispondente ai propri obiettivi. Il circolo deve sapersi aprire ed ascoltare le persone     per   quello che hanno  da dire e non per il ruolo che ricoprono, l'appartenenza, la convenienza. Deve organizzarsi al suo interno affinché obiettivi, soggetti, politiche e comunicazione collaborino in un tutt' uno coerente, ancorché plurale. Non deve aver paura di rischiare. Una politica riformista deve impegnarsi a sconfiggere le corporazioni, le caste, l'appartenenza, la cooptazione, la fedeltà. È questo sistema che, soprattutto nelle scuole, nelle imprese, nelle professioni, quindi nel paese, ci rende arretrati e ci impedisce di crescere. Pertanto non si tratta solo di ascoltare gli under 35 ma di chiamarli a partecipare in prima persona, di invitarli a farsi promotori e partecipi di quelle iniziative che ritengono necessarie per lo sviluppo del paese. I giovani hanno certamente una propria agenda politica in testa e sono anche pronti a dare il proprio contributo.           Cosimo Dichiera