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PARTITI AL BIVIO


La mobilitazione dei movimenti e della cosiddetta “società civile”, in questi anni, è stata spesso guardata con sospetto, ma per quanto si possano avere dei dubbi su questo modo di far politica, non li si può avere sul fatto che esso abbia sollecitato in qualche modo la politica “ufficiale” ad occuparsi dei temi proposti e che esso testimoni una grande domanda di partecipazione . È una domanda politica per ora senza risposta. L’attuale forma di democrazia occidentale è qualcosa che è in crisi ed è necessario, per passare ad una nuova democrazia, trovare nuove istituzioni che sappiano far fronte ad alcuni problemi cruciali, il più importante dei quali è proprio quello di immaginare il modo in cui il popolo possa esprimere il suo volere. È il nocciolo del sistema democratico: come possa il demos esercitare il kratos; come sia possibile, oggi, la partecipazione popolare al processo di decisione politica, a livello locale, regionale e nazionale. Ciò che sembra entrato in crisi è l’attuale sistema di rappresentanza. Al suo interno  i partiti vengono sentiti spesso come lontani dagli interessi reali della gente e si riducono (e così sono perlopiù percepiti) in molti casi  al ruolo di taxi, che conducono gruppi di persone alla conquista del potere. Al suo esterno, al di sopra delle teste dei cittadini, vengono prese decisioni attraverso procedure sovente poco trasparenti di cui l’opinione pubblica è il più delle volte all’oscuro e la cui legittimazione democratica è quantomeno dubbia. Quello che manca, soprattutto, è un dibattito informato che coinvolga seriamente i cittadini sui temi all’ordine del giorno nell’agenda politica locale, provinciale e regionale. Oggi la struttura del partito risulta spesso respingente per i giovani e i cittadini che vogliano impegnarsi politicamente: la democrazia interna tende spesso ad essere soltanto formale, come hanno rivelato sovente le dinamiche dei congressi, dove le assemblee congressuali finiscono il più delle volte per approvare decisioni già prese e organigrammi già stabiliti a livello centrale, attraverso la nomina dei comitati elettorali e politici (approvati a loro volta senza discussione dalla platea congressuale). La selezione per gli incarichi di dirigenza avviene nei fatti molto spesso attraverso una cooptazione sulla base dell’abnegazione, della fedeltà al “capo” che coopta. Tutta l’attività politica si risolve molto spesso nell’organizzazione e nella  gestione della rete delle relazioni. E quel che è peggio: gran parte delle energie, nella “vita di partito”, sono assorbite dalla lotta interna per il potere. Tanto che si può dire, stilizzando un po’, che la politica di professione nei partiti si è ridotta di fatto ad una sorta di supervisione e conoscenza dei processi di collocamento all’interno e all’esterno dei partiti stessi. Sulla base di queste considerazioni noi immaginiamo di collocarci nel partito democratico con la voglia di costruire un soggetto che sia, anzitutto , un’organizzazione antioligarchica che dia la possibilità ad ogni iscritto, secondo il principio “una testa, un voto”, di avere una voce in maniera puntuale e influente nella decisione delle linee politiche: attraverso referendum di indirizzo sulle linee politiche essenziali;  nell’elezione diretta dei dirigenti (dove la leadership sia realmente contendibile); nella scelta dei candidati alle principali cariche di governo (sindaci, presidenti di provincia, presidenti di regione, presidente del consiglio), nonché dei candidati ai collegi parlamentari, e ai consigli comunali, provinciali e regionali. E infine, più in generale, la questione centrale è questa: dovremmo tendere ad una riduzione al minimo della politica come professione, per “tornare” ad una politica come servizio civico , mettendo un freno alla degenerazione della politica come “ufficio di collocamento”. E  dovremmo in proposito anche operare una pulizia nel lessico che usiamo correntemente: cerchiamo di non parlare più di classi dirigenti nei partiti, ma di gruppi dirigenti che compiono le loro missioni e lasciano spazio ad un ricambio circolare e continuo delle loro componenti, concorrendo davvero collettivamente ad un partito della democrazia partecipata .L’analisi del voto nelle ultime elezioni politiche e amministrative conferma la necessità di riflettere su come strutturare bene un partito appena nato ma con tare ereditarie ben evidenti . Il nostro Circolo dopo questo periodo caratterizzato da scarsa iniziativa politica dovuta proprio ad un necessario chiarimento di idee sulle vie da perseguire , intende  lavorare, senza scelte ambigue e di comodo, ma creando consenso intorno ai problemi della comunità, delle strutture amministrative e politiche in cui operiamo, e proponendo soluzioni concrete.Quindi abbiamo pensato di rilanciare la nostra attività e operare insieme incontrando e facendo incontrare competenze ed esperienze per valutare i problemi concreti, perché la vita nelle istituzioni non può essere guidata da un vademecum capace di risolvere tutti i conflitti, di avere e di offrire soluzioni in ogni situazione. La consapevolezza e la coscienza matura di ognuno consente di riconoscere e attuare le migliori soluzioni possibili, per i cittadini e per le istituzioni .Ciò comporta che bisogna operare sulla base di un esercizio costante di ragione, diritto e morale: esercizio personale, ma anche frutto di dialogo e confronto fra impegnati sullo stesso piano operativo, fra persone che condividono valori e fini e che mettono insieme esperienze concrete. Indicativamente, alcuni temi che  meriteranno una attenzione specifica nell' attività del Circolo:a) La sussidiarietà istituzionale specie nei rapporti fra enti locali e regioneb) la sussidiarietà sociale nei rapporti fra amministrazione locale e cittadini e societàc) Iniziative e progetti di inclusione e di coesione sociale con riguardo alla specifica situazione cauloniese d) le forme di trasparenza e controllo sulla amministrazione locale Una attenzione particolare va posta sul valore della persona, sulla sua centralità in ogni realtà istituzionale.Come ha osservato Emanuel Mounier, non sono le istituzioni che fanno l'uomo nuovo, bensì un lavoro personale ed insostituibile dell' uomo su se stesso. Le istituzioni nuove possono facilitargli il compito, ma non sostituirsi al suo sforzo. Le stesse facilitazioni che esse gli procurano, se egli non è sostenuto da una forza intima, possono condurlo indifferentemente sia all' apatia che a un rinnovamento. Noi vogliamo il rinnovamento e con questo spirito lavoreremo insieme.Nella sfida quotidiana di ciascuno di noi all'interno dell' ambiente di lavoro, della struttura amministrativa o politica, insieme e con i nostri evidenti limiti ci aiuteremo nella fatica di pensare e vivere nelle istituzioni. Su queste basi abbiamo deciso di rivitalizzare la nostra azione politica al servizio dei cittadini , per la crescita civile ed economica della comunità .                                                                                                                                        Francesco Mirarchi