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Arrivata a los angeles prendo un taxi, risultato poi expensive, che copre una distanza enorme andando veloce su queste strade che mi sembrano sempre troppo grandi per conoscere il senso della parola traffico e sono all'hotel Cecil. L'hotel è curioso, ingresso finto barocco, stucchi dorati, colonne finto marmo luci da bordello anni 50, son salita con un ascensore vecchio e scuro verso piani alti mal pittati di un color marrone che cerca vanamente di uniformare le imperfezioni degli intonaci e sono finita davanti ad una porticina bianca smaltata di recente, unica nota positiva: la finestra si apre, alzata la cornice scricchiolante e tirata la zanzariera posso poggiare una lattina mezza riempita d'acqua a mò di ceneriera. Esco per entrare in sintonia con il luogo, ma ha un vago sapore dispersivo che non riesce a prendermi, le downtown mi sembrano tutte simili, anche i nomi non denotano alcuna fantasia, questa struttura ordinata a quadri da una parte mi rassicura, dall'altra mi avvilisce, quinta strada, quarta, terza, incrocio, semafori più o meno sonori e macchine quanto basta, niente che abbia a che fare con la mia città natale dove decumani e cardini sono fatti per lillipuziani e l'unica strada a sei corsie degna di nota che attraversa la città è soprannominata rettifilo, come a dire - ce l'abbiamo fatta anche noi a fare una strada diritta -
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