MARCO PICCOLO

LA RIFLESSIONE,


Quattro passi in Paradiso.  L'Aldilà.  L'Eden: un frutteto irrigato dai fiumi, forse situato ai confini del mondo, forse in mezzo a noi. Mentre l'inferno è il vero specchio della nostra realtà  sofferente ......  IL PARADISO PUO' ATTENDERE  E TUTTO ACCADDE PER COLPA DI UNA MELA
Sarà perchè può attendere, sarà perchè è distante al di là dell'immaginabile: più che meta di nostalgie lancinanti e di speranze mai deluse, il paradiso è soprattutto uno scrigno della fantasia. Pensare che, come al colmo di una beffarda abbondanza, di paradisi ne esistono ben due: uno è l'origine da cui tutti inevitabilmente proveniamo per ascendenza di carne, l'altro è in vetta ai cieli e ci aspetta per quel tempo infinito e indefinibile che verrà dopo la morte. Il PARADISO TERRESTRE è un luogo storico. E' anzi il luogo dove la storia, quella di Adamo ed Eva e di tutti noi loro discendenti, comincia. Nell'ebraico biblico e in quello successivo parde's significa soltanto «giardino», anzi «frutteto», e a voler essere particolarmente precisi indica la profumata piantagione di agrumi. Nel racconto della Genesi il PARADISO si confonde con il giardino dell'Eden, sede di una varietà strabiliante di vegetazione senza nome. Solo un albero si fa chiamare da Dio e dall'uomo, ed è quello il cui frutto costerà assai caro ai nostri due antenati, gli imprudenti Adamo ed EVA. Il PARADISO TERRESTRE era (è?) irrorato da quattro fiumi dalle acque prodigiose. Si trova(va) nell'Oriente più estremo, o forse al centro di quella terra che Cosma immagina rettangolare. Non pochi, nella storia, sono partiti in cerca di quel luogo. Mistici e avventurieri, eremiti e poeti si sono avvicendati nel Medioevo e anche oltre, lungo un cammino improbabile, mossi da un'unica fede, al di là della religione: la certezza che il PARADISO è in terra. Territorio della nostra intatta origine, forse situato al confine del mondo, forse proprio in mezzo a noi, il PARADISO TERRESTRE compare all'inizio della Bibbia e poi sparisce, inghiottito dalla fantasia. Ci pensa l'arte a restituirlo in tutti i suoi colori. Specchio del PARADISO in terra è quello celeste: un luogo teologico dalla cifra affatto diversa. Se, come dice Tertulliano, «l'anima non è mai senza carne, fino a quando è nella carne», l'aldilà è popolato delle anime dei giusti una volta che hanno abbandonato l'involucro corporeo. Non che nel PARADISO celeste non esistano i corpi: hanno però una sostanza diversa, che è il riflesso dello spirito. Sono il simulacro della virtù. L'apparenza di beatitudine tradisce, però, quel sentimento che accomuna chi sta lassù a chi è ancora su questa terra e magari a ben altri, infimi, lidi approderà, una volta spirato: gli uni (in PARADISO) e gli altri (ancora in terra) attendono la resurrezione che tutto capovolgerà, affollando di concretezza l'aldilà. Quella concretezza che, in fondo, gia' ritroviamo nel modo in cui il paradiso si disegna - nella poesia, nella pittura. L'inferno, per contro, nelle origini ha ben poco di concreto. L'Antico Testamento quasi non vi accenna. Tutto quel che riguarda le anime umane dopo la morte, la retribuzione per i giusti e il castigo per i malvagi, è avvolto in una nebbia fitta che cancella i contorni, nega sostanza. Esiste soltanto un vago oltretomba che si chiama Sheol, sospeso nello spazio e nell'incertezza, una sorta di territorio tabù di cui val meglio non sapere. La Gheenna, invece, è più concretamente una valle di Gerusalemme dove in epoca preistorica e pre-israelitica si solevano sacrificare, con orrendo rito, i primogeniti maschi. Questo luogo sì, che sapeva d'inferno. La Gheenna che attende i malvagi spogliati del corpo dopo la morte è situata, forse, a settentrione. Qui sono immagazzinate innanzitutto le piaghe atmosferiche: neve, grandine, vapore e bruma, tenebra e bufera. E naturalmente (si fa per dire) il fuoco che divora e castiga, che scalda e persino raggela, in una varietà inesauribile di pene. A dire il vero l'inferno, per lo meno nell'arte,  un luogo più variegato che temuto. E' là dove la fantasia s'accoppia con la natura e partorisce creature ibride ma verosimili, gesti attinti dalla memoria e espressioni che più umane è difficile immaginarle. In un certo senso, e forse inevitabilmente, l'inferno che il testo sacro quasi non prospetta, là dove Dante scende armato della sua capacità di stupire e compatire, che Giotto dipinge di grigio cupo e rosso tremendo, è un luogo decisamente più familiare di quel PARADISO che dona ai suoi abitanti una fissità di beatitudine estatica, ma anche monotona. E' proprio l'inferno il vero specchio della nostra realtà: multiforme e sofferente, ricca della sua perenne imperfezione. E' nell'inferno che, con rassegnata apprensione ma anche con una familiarità quasi consolante, ci sentiamo più a casa che lassù, in quei cieli immobili. Là sotto, nella spira di gironi, fra tinte fosche e torture astute, tra i frastuoni che la pittura soltanto sa evocare e restituirci come fossimo lì anche noi, non possiamo negare di sentirci anche un po' come qui, a casa.