MARCO PICCOLO

TRE STORIE DECISAMENTE CONTRO NATURA, CULTURA, SCIENZE, AMBIENTE, ECOLOGIA, ZOOLOGIA, ATTUALITA',


BIODIVERSITA': DISTURBI, MINACCE E CRIMINI
QUANDO manifesto il mio timore che gli uomini in camice bianco possano generare nei loro laboratori nuovi guai per l'ambiente, mi si accusa di essere contro la ricerca scientifica. In realtà, invoco solo un po’ di prudenza. Ecco tre esempi.  L'Australia aveva importato dei conigli, che non facevano parte della fauna locale, e li aveva lasciati andare in giro liberamente. L'evoluzione, però, non poteva aver previsto i nuovi arrivati, e non aveva potuto "progettare" dei loro nemici naturali, atti a contenerne la densità. Ragion per cui, i conigli si sono moltiplicati a dismisura, devastando i pascoli destinati alle pecore e trasformandosi in un vero e proprio flagello continentale. È stato così che certi scienziati hanno pensato di usare contro di loro quella guerra batteriologica oggi tristemente di moda. Si trattava, in altre parole, di scatenare delle epidemie del virus della mixomatosi, che comporta alte mortalità nelle popolazioni cunicole. I risultati furono devastanti. MA NON E’ TUTTO:  un veterinario francese, certo Armand Delisle, che lamentava come il suo podere fosse infestato dai conigli selvatici pensò di infettare alcuni esemplari con la mixomatosi e rimetterli in libertà. Perchè l'epizoozia restasse circoscritta al solo spazio poderale, il veterinario l'aveva fatto recintare con una rete metallica a maglie molto fitte. Ma, come insegna «Jurassic Park», non c'è barriera che tenga. Attraverso qualche smagliatura della rete, un coniglio infetto evase, e la mixomatosi si diffuse in tutta Europa. I danni furono incalcolabili. Mutiam dolore: l'ape italiana (Apis mellifera ligustica) verso la metà del secolo scorso era stata importata in Brasile da alcuni valenti apicoltori. La razza italiana è poco aggressiva, ma purtroppo le rudi condizioni ecologiche del bacino delle Amazzoni sono pregiudizievoli al suo benessere, e dunque alla sua produttività. Si sapeva che le api africane (Apis mellifera adansonii), invece, allevate in Sudafrica, erano più resistenti a condizioni ambientali avverse, e producevano quantitativi imponenti di miele. Ahimè, erano però molto aggressive e difficili da gestire. Un genetista brasiliano, Warwick Kerr, fece una bella pensata: perchè non incrociare le api italiane con quelle africane, ottenendo degli ibridi più produttivi delle prime, e più docili delle altre? Detto fatto, vennero importate dall'Africa delle famiglie, che furono sistemate in una bella radura tra gli eucalipti. Purtroppo uno sciame di api africane, con la loro brava regina, si infrattò nella foresta. In qualche anno le evase si diffusero ovunque e cominciarono a marciare verso l'istmo di Panama. Lo superarono invadendo poi la California, il Texas, e così via. Sono api assassine e molto aggressive. Infatti  le vittime si contano ormai a centinaia e a tutt'oggi il problema è insoluto. È facile, insomma, immettere degli organismi - e dei geni! - nell'ambiente, più difficile, se non impossibile, recuperarli. E veniamo alla  caulerpa "assassina" (Caulerpa taxifolia). Anche in questo caso ci troviamo di fronte al risultato di una imprudenza commessa da scienziati, le persone che più dovrebbero esserne esenti. La Caulerpa è un'alga dei mari tropicali, allevata negli acquari per scopi ornamentali. Un brutto giorno degli Anni 80, uno degli addetti del Museo di oceanografia di Monaco si tuffa nel mare che lambisce le rocce su cui sorge l'edificio, e trasale di stupore: la Caulerpa cresce rigogliosa in acque libere. Prende corpo, così, un piccolo " giallo". Qualcuno ha versato in mare l'acqua in cui, nel museo, veniva fatta crescere in cattività la Caulerpa? L'alga, benchè di origini tropicali, resiste egregiamente al freddo invernale e dà prova di un notevole potere di diffusione, per cui dalla Costa Azzurra in meno di due decenni ha raggiunto le coste della Spagna, dell'Elba, della Sicilia, della Croazia, e così via. I pericoli di questa invasione? Spiazza le altre alghe del Mediterraneo, minaccia le foreste sottomarine della Posidonia, e siccome ospita nei suoi tessuti delle tossine, può avvelenare gli organismi del nostro mare che se ne nutrono.