MARCO PICCOLO

SEDUZIONE SUL LETTINO, "INCESTO" TRA TERAPEUTA E PAZIENTE, TRANSFERT, PRENDIMI L'ANIMA, L'AMORE MALATO


SEDUZIONE O DISPERAZIONE? 
Fa scandalo il rapporto amoroso-sessuale che frequentemente si realizza nell’ambito di una terapia psicologica. Recentemente si è discusso di un noto psicoanalista che, nell'accomiatarsi dalle pazienti, le abbracciava con enfasi. L’unanime condanna verso tale condotta “terapeutica” rispecchia, forse, una visione paternalistica del rapporto medico-paziente come se quest'ultimo fosse privo di  dignità, autonomia e capacità di discernimento. In particolare, le donne vengono considerate ancora come il “sesso debole”, indifeso e bisognoso di tutela, come i bambini.
Non a caso, lo psicologo che “approfitta” della situazione viene paragonato ad un vero e proprio pervertito sessuale. Accostamento, questo, opinabile anche se ben sappiamo che in un momento particolarmente fragile della propria esistenza, qualsiasi persona viene a trovarsi in uno stato di subordinazione e di influenzabilità. Chi esercita il mestiere di “medico dell’anima” sa bene che esiste un reciproco rapporto di seduzione tra analista e paziente, intessuto non solo, come si sarebbe ingenuamente portati a pensare, dal paziente che nel suo transfert ripete modelli infantili, ma anche dall'analista stesso.  Qualche volta, lo specialista non riesce ad interpretare adeguatamente questa seduzione. Non sa quindi trasformarla in un sentire empatico che accolga e contenga il desiderio del paziente utilizzandone l'energia per la sua trasformazione. Talvolta, purtroppo, e tutto ciò non è accettabile, accade che egli risponda alla richiesta di amore e comprensione formulata dal paziente, chiedendo a sua volta affetto e tenerezza. Sedurre un paziente per ottenerne affetto - un affetto che non sia riferito solo al suo ruolo ma anche al lato umano che si nasconde dietro la sua professione - significa in definitiva chiedergli proprio ciò per cui ha deciso di intraprendere una terapia. La capacità di coinvolgimento dell'analista, sia in termini di attenzione sia di comprensione, in tal caso tenderebbe, quasi sempre erroneamente, a creare le condizioni attraverso le quali il paziente possa curare le sue parti ferite, crescere e così emanciparsi da quel rapporto. Tuttavia il coinvolgimento dell'analista è inconscio ma molto bene finalizzato. E' vissuto nella segreta speranza di ricevere e, al contempo, di essere curato dal paziente. In una lettera a Sabina Spielrein, Jung scriveva: “In questo momento Lei dovrebbe rendermi un po' di quell'amore, di quel debito, di quell'interesse spassionato che ho potuto darLe al momento della Sua malattia. Ora sono io l'ammalato”. Dunque, il segreto di ogni seduzione analitica si puo' dire che sia racchiuso in questo bisogno, in quest'aspettativa nei confronti del paziente, non meno e non diversamente da quanto esso stesso si attenda dall'analista. Purtroppo, molto spesso, invece che salvare ed essere salvati si finisce solo con il distruggere il rapporto. Quando nel contesto analitico l'eros raggiunge una concreta realizzazione attraverso il corpo dell'altro, è molto facile che vengano meno i presupposti dell'efficacia terapeutica. Infatti non si crea un mondo di immagini per le quali proprio la rinuncia alla attualizzazione del sentimento prende forza. Va in frantumi quella dimensione in cui i nodi più intimi e indicibili vengono forse per la prima volta espressi e vissuti, anche se attraverso un piano fantasmatico. Al contrario è possibile che ci si imprigioni in una dinamica di recriminazioni e di richieste sempre più eccessive. Solo ritornando dolorosamente a se stessi e alle proprie ferite si può elaborare l'accaduto e, se non riparare, riuscire almeno a utilizzare la dinamica all'interno del proprio cammino di crescita. In questo modo, assumendosi il peso doloroso dei fatti, paziente e analista possono leggerli come un momento importante della loro storia personale. Ogni bravo analista, se è degno di questo nome, ha dovuto imparare da queste esperienze.