Il procuratore generale di Torino, Corsi, non ha dubbi sulla responsabilità della mamma di Samuele Lorenzi, il piccolo assassinato a Cogne «Franzoni, una bimba che nasconde un guaio» Chiesta la conferma della condanna a 30 anni. La difesa vuole l’assoluzione. Il 27 aprile la sentenza della Corte d’appello. È «una bimba che non vuole ammettere di aver combinato un grosso guaio», una donna che se non confessa è «per orgoglio». Ma se Annamaria Franzoni troverà «il coraggio di uscire da questa gabbia», e ammetterà di avere ucciso il figlio, «tutti le vorranno bene, e tutti le vorremo bene». È un invito intriso di umanità quello che il pg Vittorio Corsi, alla fine del suo intervento in aula, rivolge alla donna processata per il delitto di Cogne.La richiesta del magistrato è caduta nel vuoto: Annamaria è rimasta impietrita accanto al suo avvocato, Paola Savio.L'udienza di ieri, la ventiduesima di una causa che - in teoria - avrebbe dovuto svolgersi con il rito abbreviato, è stata dedicata alle repliche di accusa e difesa prima di essere rinviata al 27 aprile, giorno in cui la Corte entrerà in camera di consiglio per la sentenza. E, come era prevedibile, le parti non hanno cambiato opinione dall'ultima volta.Per Corsi, la Franzoni è colpevole: ha ucciso il piccolo Samuele «per un momento di discontrollo che può capitare a chiunque», per un black-out di «venti secondi dopo una brutta notte e un brutto inizio di giornata». Poi ha coperto il corpo con il piumone: un atto pietà, d'amore, o di rimozione, come «una bimba che ha rotto un vaso e cerca di nascondere il guaio».Per Savio, invece, Annamaria è innocente, e l'assassino è un «estraneo» alla casa. Su questo «estraneo» i due protagonisti ingaggiano un duello a distanza che occuperà l'intera giornata. Si evoca Daniela Ferrod, la vicina, su cui la Savio aveva allungato delle ombre.«Prendo la parola per dovere morale nei confronti di questa persona tirata in ballo come assassina, per mettere fine a queste brutte insinuazioni», dice Corsi. «Sono le carte processuali che parlano della Ferrod, mica io», è la risposta dell'avvocato, che aggiunge: «Il sopralluogo nell'abitazione di lei fu un sopralluogo per modo di dire ...». Ma Corsi non è convinto: quella donna non può avere colpito Samuele con un sabot misura 43-45 («dovremmo cercare un omaccione») e poi essersi allontanata, senza lasciare tracce e senza essere vista, con la calzatura in mano.È stata Annamaria, afferma Corsi, perché nella sua mente «è scattato qualcosa mentre portava Samuele nel lettone». E non ha usato un sabot. Per dimostrarlo, il pg ricorre a un video raggelante, realizzato dai carabinieri del reparto scientifico: si vede un uomo montare su un letto e percuotere selvaggiamente con lo scarponcino un oggetto di legno che rappresenta Samuele adagiato sulle coltri. La tesi è che il sabot non può provocare schizzi di sangue come quelli trovati nella stanza del delitto. «Dovrebbe prima essere intriso in una pozza».Annamaria, mentre scorrono le immagini, distoglie lo sguardo.Il pubblico, invece, non perde un fotogramma. La tribuna è piena, e almeno una trentina di persone, non essendo riuscite a entrare in aula, hanno protestato vivacemente. L'ultima fase del processo d'appello ha infatti richiamato una folla alla quale sono stati distribuiti i numeri per la precedenza nell'accesso all'aula che non è così capiente come si potrebbe pensare, benché si tratti della cosiddetta maxi aula 6 del Palagiustizia di Torino. Se la Corte, presieduta dal giudice Romano Pettenati, non accettasse la richiesta della difesa, al termine degli interventi delle due parti la giuria si riunirebbe in camera di consiglio per la sentenza.Una sentenza che potrebbe andare dall'accoglimento della richiesta del pm, 30 anni, fino all'assoluzione o che potrebbe prevedere una pena fra i 10 e i 15 anni con la concessione delle attenuanti o il riconoscimento di un vizio parziale di mente o di entrambi. Anche ieri in Aula era presente Anna Maria, come sempre accompagnata dal marito Stefano Lorenzi, da un'amica e dal parroco di Ripoli, don Marco. L'eccessiva attenzione mediatica è stato l'unico argomento che ha messo d'accordo il pg Corsi e l'avvocato della difesa Savio: non sono mancate critiche a giornali e giornalisti. Per il resto, divisioni su tutta la linea. A differenza di quanto sostiene l'avvocato, per Corsi il delitto di Cogne non è come la strage di Erba (una famiglia massacrata dai vicini), ma come il giallo di Lecco, dove una donna, dopo la morte del figlio di cinque mesi - un altro «momento di discontrollo di una madre accudente, proprio come Annamaria» - simula un'aggressione. «Non c'entra niente - ribatte la Savio - Annamaria non è fredda, ma si dispera, urla, chiede aiuto». E ancora si combatte su analogie e statistiche. La Savio riprende l'analisi sugli «89 figlicidi con solo 65 confessioni», cita le madri imputate che si proclamano innocenti (i casi di Vercelli, Cremona e Modena) e osserva: «Una donna uccide il proprio figlio non quando vuole castigarlo, ma per punire qualcun altro». L'esempio è quello di Brissogne, dove una mamma in preda a rancore verso i parenti annegò i suoi due bambini in un lago. E Corsi illustra una ricerca dell'Università di Milano: su 371 figlicidi avvenuti tra il 1975 e il 2005, il 61\% sono stati ad opera dei genitori e il 36\% di altri familiari.