MARCO PICCOLO

OMICIDI IN OSPEDALE


Non è facile dare un nome a queste ultime morti da ospedale. Errore? Letale noncuranza? Pazzesco equivoco? Che la vita sia una cosa tremendamente fragile, prima o poi tocca a tutti impararlo. Ma perderla per colpa di un tubo andato storto va al di là del destino più beffardo: è una combinazione assurda di vergogna e fatalità.All’indomani del «macroscopico errore» assistiamo alla puntuale levata di reazioni. Partono controlli «a tappeto», la magistratura si attiva, gli impianti vengono sequestrati. Con quanta costanza e determinazione ad andare a fondo delle cose? Siamo abituati all’esuberante attivismo che segue lo scandalo sanitario. E’ un copione consueto, oltre che inevitabile. A scanso di ogni equivoco: il nostro Paese è pieno di strutture sanitarie efficienti, di medici formidabili, di personale che fa il proprio mestiere con dedizione ammirevole. La ricorrenza di obbrobri sanitari non toglie nulla a tutto ciò che funziona, e che non è poco.Gli errori non significano che la salute pubblica sia al collasso: sono casi tanto eccezionali quanto terribili. Il male sta però nella cronica ripetitività di incidenti come questi. Se ne fa un gran parlare e ci si prepara alla prossima insorgenza – data per sicura da tutti. E’ contro questa consuetudine all’eccezione malata che dovremmo tutti cominciare a reagire. Siamo rassegnati all’eventualità di questi incidenti e in forza di questa abitudine non siamo più capaci di esigere un’inversione di rotta. Una fermezza vera di fronte a precedenti letali come questo di Taranto. Forse l’assuefazione alla fatalità fa parte di un certo lassismo nazional-popolare. Ci piacerebbe invece pensare che non è più tempo per questi stereotipi etnici e che anche noi italiani abbiamo imparato ad arrabbiarci. A scandalizzarci sul serio e non solo per abitudine.