MARCO PICCOLO

come diritto e psicologia trattano i bambini abusati sessualmente


ATTENZIONE: QUESTO POST E IL SUCCESSIVO SONO STATI SCRITTI PER QUEI SETTE   AMICI BLOGGATORI CHE ,FACENDO SEGUITO AI NOTI FATTI DI RIGNANO FLAMINIO, MI HANNO CHIESTO CHIARIMENTI PONENDOMI SPECIFICI QUESITI.  MI SONO IMPEGNATA A RENDERE TUTTO COMPRENSIBILE MA DUBITO DI ESSERCI  RIUSCITA .... La violenza sessuale all’infanzia è un reato che difficilmente ha spettatori e testimoni e che, di conseguenza, si fonda sostanzialmente sulle dichiarazioni del minore-parte offesa. A tal proposito, nel processo penale, si apprezzano due situazioni gravate da significative aporie: la prima si riferisce alla ricerca di possibili riscontri oggettivi alle parole del minore; la seconda - diventata teatro abituale di scontro forense - riguarda i limiti e le caratteristiche della testimonianza infantile, ovvero, in termini più specifici, la complessa problematica che trova il suo momento centrico ed epicritico nella valutazione dell’attendibilità e della credibilità delle informazioni ottenute dal minore che, dal punto di vista testimoniale, spesso appare un soggetto “a rischio” per la sua immaturità psichica e per le peculiari carenze, anche cognitive, legate alla specificità della fase evolutiva che attraversa. In merito ci sono stati, e continuano ad esserci, atteggiamenti controversi nei confronti del ruolo testimoniale assunto dal minore-p.o. nel procedimento penale riconducibili, ad esempio, alla convinzione che i bambini fino ad una certa età, per lo stadio del loro sviluppo cognitivo o per la labilità del loro sistema emotivo, non possano essere dei soggetti attendibili . Tuttavia, se nel passato è prevalsa questa percezione pregiudiziale di inattendibilità nei confronti dei minori, attualmente, invece, si registra un’inversione di rotta che, da un lato, è alimentata da una rinnovata sensibilità, di cui lo stesso Legislatore si è fatto portavoce ma, dall’altro, sembra risentire forse eccessivamente di un’emotività che può alimentare atteggiamenti ugualmente pregiudizievoli, anche se in senso opposto.  NELLA MANIFESTA VOLONTÀ DI PERSEGUIRE I RESPONSABILI SI PUÒ FINIRE, INFATTI, PER ACQUISIRE LE DICHIARAZIONI DEL MINORE IN TOTO, SENZA PORRE ALCUN FILTRO CRITICO, SENZA UNA CAUTA E PRUDENTE RIFLESSIONE IN ORDINE AL CONTESTO IN CUI TALI DICHIARAZIONI SONO INSERIBILI E SUL VERO SIGNIFICATO CHE A QUESTE PUÒ ESSERE ATTRIBUITO.  Tutto ciò chiama prepotentemente in causa il ruolo e le funzioni dello psicologo e/o dello psichiatra forense nell’ambito dei procedimenti penali riguardanti casi di abuso sessuale su minori. Ad essere “sotto accusa” sono soprattutto le modalità con cui periti o CT affrontano l’esame del minore, e più precisamente il loro porsi di fronte ai casi di abuso sessuale in un’ottica prevalentemente verificazionista, che impedisce di mettere in discussione i propri convincimenti personali, e correlativamente, di tener conto dei dati e degli elementi che potrebbero invalidarli. Infatti, troppo spesso, alcuni specialisti del settore, sembrano avere un’idea stereotipata del problema relativo all’accertamento delle situazioni di abuso sessuale e  tenderebbero a mantenerla anche quando viene contraddetta dalla loro stessa casistica.  Alcuni “esperti”, in sostanza non saprebbero liberarsi da preconcetti e deformazioni professionali che ostacolerebbero la corretta valutazione dei fatti raccolti.  Inoltre, come sopra segnalato, i guasti maggiori deriverebbero dalla prevalenza della tendenza verificazionista su quella falsificazionista .  In altri termini, alcuni specialisti cederebbero alla tendenza a non mettere in discussione i propri convincimenti e a non tener conto di tutto ciò che potrebbe invalidarli. Così si arriverebbe al noto paradosso hegeliano: “Se i fatti non confermano la teoria, tanto peggio per i fatti”. Si vuol significare, con questo, che anziché valutare se i fatti possano servire a confermare le ipotesi, si interpreterebbero i fatti come se le ipotesi fossero già state provate. Agendo in quest’ottica verificazionista lo specialista con funzioni di perito o di  CT finirebbe per rendere infalsificabili le accuse.  In tale prospettiva, succederebbe, in buona sostanza, quello che Kuhn (1989) ha segnalato a proposito dello sviluppo della scienza: “Quando gli scienziati abbracciano l’ipotesi legata ad una teoria, di fronte a contro fatti che dovrebbero mettere in discussione la fondatezza delle ipotesi, creano una cintura protettiva volta a riparare l’ipotesi considerando il controfatto o come irrilevante o come anomalo”.Discende da queste premesse la necessità che lo psicologo forense segua correttamente le regole fondamentali dell’accertamento dei fatti e cioè: 1.      verifica delle prove;2.      controverifica per la traccia opposta allo scopo di non “legarsi” ad una tesi, perché può essere vero il contrario di quello che si pensa. Perchè, può accadere che i fatti su cui gli ausiliari tecnici del giudice, a volte, ragionano non siano fatti ma “fattoidi” cioè avvenimenti che non sono fatti ma che dei fatti hanno l’apparenza .
E' indispensabile guardarsi dal rischio di capitare in quest’area di massima turbolenza dove si scontrano non saperi diversi (per il sapere si può trovare l’accordo) ma ignoranze e pregiudizi diversi (il bambino è la voce della verità / i bambini sono inattendibili).psicologiaforense ... (segue nei prossimi post)