MARCO PICCOLO

EDITORIALE


ELOGIO DELLA " FELICE SOLITUDINE" E DELLA "CIVILTA' DEL SILENZIO"
PER UNAVITA SERENA Siamo arrivati all'apice della civiltà del frastuono. E, per certi aspetti, si hanno già le prime avvisaglie di un timido, forse inconscio desiderio di ritornare alla serena solitudine, nella quale l'uomo ritrova finalmente se stesso. Il lento ma costante abbandono delle grandi metropoli verso “zone verdi” o meno abitate ne è una prova. O meglio, è il primo passo verso la civiltà del silenzio. II regista Tarkovskij aveva capito che, prima o poi, si sareb­be arrivati a questo e, in una delle sue ultime interviste, dichiarava: « ... vorrei che i giovani imparassero di più ad ama­re la solitudine perchè l'individuo deve imparare sin dall'in­fanzia a vivere da solo, il che non vuol dire essere solo». Ma la società consumistica non ha saputo che educare il giovane a una esasperante competizione, in cui ci sono larghi margini per le masse frastornanti e spazi sempre più esigui per raccogliersi in se stessi, per meditare. E su questa strada, l'uomo ha finito per dimenticare il messaggio della genuina felicità. L'uomo cioè parla con gli altri, ma non sa più parlare con se stesso. Ecco quindi la necessità di una educazione alla solitudine, per ritrovare le gioie di una vita ormai dimenticata. Pagine meravigliose sono state scritte dai solitari pagani, alcuni dei quali hanno considerato la «solenne cerimonia del silenzio» un dono degli dei per ritrovare il proprio equilibrio e soprattutto per ritrovare la gioia di vivere. Ma saper «vivere» la solitudine è un carisma, specie nel nostro tempo, sul quale continua a trionfare la cultura della massa, del gruppo, dell'ammucchiata. II silenzio - diceva a questa proposito il solitario Elia - può essere un veleno o una medicina; è un veleno per chi non sa che cibarsi di rumore, ma è una medicina per chi sente il bisogno di vivere una vita intimamente serena. La solitudine quindi come terapia dell'anima e del corpo. La solitudine al posto DELLO PSICANALISTA E DELLE BENZODIAZEPINE. Ma non una solitudine deprimente anzi liberatoria… gioiosa, che significa  imparare a parlare con se stessi, imparare a meditare, imparare a utilizzare le forze che abbiamo dentro di noi per vivere una esistenza sere­na, conoscendo quella pace profonda di cui l'uomo consu­mistico ha forse perso l'ultima memoria. Non è difficile compiere il primo passo: i "solitari delle co­ste rocciose" del VI secolo usavano fissare l'attenzione, svuotando la mente da ogni pensiero, su immagini disten­sive come un cielo sereno o una pineta fino a perdersi, poi, solo nell'azzurro o nel verde.La “felice solitudine” è   il cibo dell'anima e quando l'anima è sazia su di lei scende un dolce benessere che, come la pioggia d'estate, la rinfresca e la vivifica...SEGUE......