MARCO PICCOLO

RIFLESSIONI, PENSIERI, IDEE, OPINIONI, SUGGESTIONI....PER UN NUOVO GIORNO


LA RIFLESSIONE DELLE SERA PETER PAN PER FORZA
Si è parlato di sindrome nazionale, a proposito dei giovani – e non più, propriamente, giovani – che rimangono a carico della famiglia ben oltre, molto oltre la maggiore età. Il motivo – ed è questa, la vera malattia nazionale – chiaramente si evidenzia nella difficoltà, nell'impossibilità di trovare una degna occupazione professionale o lavorativa in tempi ragionevoli. Stiracchiati sono gli accessi alle carriere, penalizzanti i periodi prolungati di studio univesitario con la partenza ad handicap di un anno rispetto all'Europa, minimi gli spazi d'inserimento soprattutto – inutile dirlo – al Sud. Ed è per questo che si diventa Peter Pan per necessità. Ma è la società ampiamente intesa che da noi non aiuta a crescere. Non ci sono politiche adeguate al sostegno per le giovani coppie o per i giovani single: niente canoni d'affitto privilegiati, ridicoli sussidi, inesistenti strutture d'accoglienza, scarsa propensione allo scambio tra voglia d'arrangiarsi e libertà di vita. Dunque, non solo malessere; ma insensibilità ai rimedi per risolverlo. Influisce molto l'instabilità, la precarietà delle poche occasioni di reddito; influisce la mentalità da mammoni che con pizza, spaghetti e crac finanziari ci identifica nel mondo; e influisce un diffuso senso di rassegnazione che, transitando per l'assistenzialismo, induce a lunghissime, perenni attese del «posto» promesso, o addirittura garantito, dal potente-referente di zona. Ma c'è anche – ammettiamolo – un lassismo di fondo che con Peter Pan ha ben poco da spartire. Gli abbandoni scolastici, la sproporzione tra iscritti all'università e laureati, l'incredibile numero di concorrenti ai rari concorsi pubblici rispetto alle assunzioni possibili, disegnano – sebbene generalizzando l'immagine – i tratti distintivi di tanti, troppi giovani nostrani alla ricerca d'identità sociale. Solo chi ha voglia di lavoro e indipendenza economica è risolvibile al sacrificio produttivo di anni e anni di studio, come all'avventura di un'incerta partenza alla ricerca di occasioni da cogliere. Gli altri – e non sono pochi, gli altri – vivono sullo stipendio, peggio sulla pensione dei genitori. O addirittura dei nonni.Preferiscono "attendere". E per questo, si sa, niente di meglio esiste della casa paterna e materna, del pranzo pronto e servito, della camicia lavata e stirata con affettuosa puntualità. È l'eterna ambivalenza delle statistiche, così, a rendere più problematico il problema, nella quasi impossibilità di differenziarne opportunamente le cause. Consegnando infine un'immagine delle nuove generazioni che può creare facili atteggiamenti di disappunto e ancor più facili alibi all'inattività. Manca in molti casi il lavoro come manca, in alcuni casi, la voglia di lavorare. E si rimane figli spesso per necessità, ma a volte anche per scelta o per incapacità nel cambiare ruolo.