MARCO PICCOLO

EDITORIALE: GENITORI, FIGLI, SCUOLA,WEBCAM, MAESTRI, CONTROLLO, CLASSE, LIBERTA', PRIVACY, PEDAGOGIA, DIDATTICA,PSICOLOGIA


EDITORIALE DELLA NOTTE GRANDE FRATELLO IN CLASSE?
ALCUNI GENITORI hanno proposto  di installare delle webcam  nella scuola elementare per permettere ai papà e alle mamme  dei piccoli allievi di seguire passo passo la loro giornata scolastica. In libertà, tutto – o quasi – è consentito; nessuno scandalo, dunque, per la richiesta di controllo via internet. Il problema è semmai alla base; e riguarda in pieno i ruoli sempre più sfumati e le funzioni sempre più marginali della scuola nel divenire della collettività nazionale. Genitori, adulti in genere, talvolta anche studenti e addirittura insegnanti sembrano aver smarrito la bussola per orientarsi nei loro compiti e nelle loro sociali o professionali attribuzioni. Il genitore, anzitutto, non è chiamato a incidere sulla quotidianità di lavoro dei docenti, se non nelle sedi – e nei modi – istituzionalmente previsti e consentiti: organi collegiali, quindi rappresentanze «di categoria», questionari di valutazione indiretta e complessiva del servizio, e soltanto nei casi di più grave e reciproca incomprensione, coinvolgimento di organi ed enti superiori. Cosa c'entri il controllo diretto in classe è facile immaginarlo: sarebbe come se i familiari di un degente potessero assistere agli interventi chirurgici, proponendone magari le modalità; o gli imputati alle camere di consiglio dei giudici, mitigandone magari le decisioni. Peggio, sarebbe come assoggettare tutta la dinamica pubblica – ed è questo il punto – a una sorta di diffusa ingerenza visiva e uditiva, sul tipo del vero e autentico «Grande Fratello» scimmiottato dalla tv. E qui funzioni e ruoli ancora di più potrebbero confondersi. Finirebbe la libertà d'insegnamento sancita dalle regole essenziali della società civile; tramonterebbe la sacrosanta possibilità, anzi la necessità della dialettica giovanile priva di condizionamenti d'ogni tipo; cambierebbe – e in peggio – la stessa idea di scuola su cui si costruiscono da sempre i valori delle nuove generazioni. Tutto per una telecamera? Sì, perché il danno – in questo caso – va ben oltre l'originalità e, forse, l'innocenza di una «pensata» fuori dagli schemi. La sbornia dei presunti reality show, insomma, potrebbe riuscire a danneggiare il sistema ben oltre la consuetudine di una serata televisiva; ben oltre le opinioni autorevoli su innamoramenti e litigi in diretta; ben oltre i baci e le corna di ogni italico pomeriggio di comunicazione. La curiosità, l'interesse morboso per le azioni degli altri segnerebbe – se esteso oltre i limiti già in parte superati dello spettacolo – la fine di un'idea di privacy che da noi non ha mai avuto tanto successo. Soprattutto non sempre ha ottenuto il dovuto rispetto. E tanto per rimanere in tema, occorrerebbe stabilire i confini tra esigenze di sicurezza o esigenze di controllo e uso specifico degli strumenti, per le mille telecamere che spesso seminascoste o non dichiarate spiano la quotidianità di tutti: dalle banche, agli incroci, alle mille sale d'aspetto delle mille giornaliere attese. Certo, c'è chi pagherebbe per sottoporsi all'altrui costante osservazione; c'è chi si mette in fila per illusori provini, al fine di tentare la strada di improbabili notorietà mostrandosi e basta, senza sforzo d'intelletto e di ragione. Ma in libertà ciascuno può agire a sua scelta, non pretendendo però di estendere a tutti le proprie esigenze. E coinvolgere addirittura la scuola in meccanismi dettati dalle mode dei tempi equivale a far crollare anche una fra le ultime garanzie del buonsenso: quella della fiducia, della collaborazione, dell'affidabilità di ogni dialettica didattica e formativa. Attraverso cui i maestri di ieri hanno istruito gli adulti di oggi, senza spie informatiche in aula; e senza timore per un rimprovero salutare che ora si pretenderebbe di rendere di pubblico dominio: per aizzare i contendenti e far spettacolo.