MARCO PICCOLO

TESTI&PRETESTI, NEGRITUDINE, ORGOGLIO DI RAZZA, NEGRO, EMOZIONE, RAGIONE, RAZZISMO, ANTIRAZZISMO, NOBEL, WOLE SOYNKA, PAROLE,


TESTI&PRETESTINEGRITUDINE. UNA PAROLA PERDUTA? 
Coniata a Parigi all'inizio degli Anni Trenta la parola “NEGRITUDINE” ha avuto una lunga e contrastata fortuna. Più che l'emblema di un movimento organizzato è stata, per un certo tempo almeno e nella sola area della francofonia, la parola d'ordine di tante e spesso contrastanti forme di orgogliosa assunzione, difesa e illustrazione della condizione di negro. La stessa presa di coscienza “È bello, buono e legittimo essere negro” ha ispirato a Senghor una sorta di concezione metafisica della negritudine e una teoria della ripartizione degli atteggiamenti psichici (“L'emozione è negra, come la ragione è ellenica”) che presentava ogni contrapposizione come il presupposto di una armonica composizione. In chiave marxista, Jean-Paul Sartre ha visto invece la negritudine come antagonismo alla cultura bianca e vi ha individuato una carica esplosiva di razzismo antirazzista che si sarebbe sublimata solo con la dittatura del proletariato. Col tempo - e col mutare delle realtà nazionali e sociali del continente africano - la nozione ha perduto le sue implicazioni politiche. Da qualche decennio appare priva di attualità e ha finito per assumere un blando e generico valore di identificazione culturale. Ha pochi attivi propugnatori e, quel ch'è più significativo, quasi più nessun detrattore. E la battuta con cui l'ha liquidata il Premio Nobel nigeriano Wole Soyinka - “La tigre non proclama la sua tigritudine, salta sulla sua preda”- sembra quasi un epitaffio.