LA RIFLESSIONEIn un mondo dominato dalla cultura del pessimismo, si impedisce anche il "diritto alla felicità"
Può guarire malattie, ma non è un farmaco. Può fare miracoli, ma non è un dio. Può far prosperare nazioni e individui, ma non è danaro, nè petrolio. È invisibile, ma i suoi effetti sono ben evidenti nella storia e nella vita di tutti. Lo conosciamo benissimo, eppure chi non ce l'ha non sa dove andarlo a cercare. Se qualcuno riuscisse a produrlo e a imbottigliarlo, diverrebbe miliardario in una settimana. Ma non si può. Quando, come in questo momento della storia umana, esso scarseggia, si può soltanto rimpiangerlo e domandarsi dove sia finito, e quando tornerà, quell'impalpabile e indispensabile elemento della felicità umana chiamato “ottimismo”. Nel mondo, nel cuore degli individui, in molte società, oggi si registra una grave, debilitante carenza di “ottimismo”, forse più acuta della mancanza di cibo. Contrariamente allo scetticismo dei depressi, al cinismo degli esperti, l'ottimismo è una condizione indispensabile al successo e alla sopravvivenza delle persone come delle società umane. Si può scherzare sul “cuor contento”, si può fare ironia educativa sull'ingenua cicala che trascorre l'estate cantando mentre la formica pessimista immagazzina briciole, ma sono le cicale che fanno camminare la storia, non le formiche. I messaggi impliciti, quotidiani, che gli adulti trasmettono ai bambini sono messaggi di forte, quasi esclusivo segno pessimistico. Privare i bambini del loro naturale ottimismo è un attentato alla loro salute mentale, grave quanto sarebbe per la loro salute fisica privarli del latte o delle vitamine. Eppure è proprio quello che la imperante “cultura del pessimismo” sta facendo. Il mondo che noi adulti raccontiamo ai nostri figli attraverso il nostro comportamento e attraverso i mass media è un mondo popolato di nemici, di vittime, di rischi, di violentatori, di mostri pronti a divorarli dietro ogni angolo. Il naturale pessimismo delle madri, che vedono insidie ovunque contro le proprie creature, è divenuta ossessione collettiva. Il mondo intero è una madre che ci intima arcigna di “mettere la maglia di lana”. E in questa orgia di ipocondria (altro sinonimo di pessimismo) si dimentica l'ovvio: che l'umanità in generale non è mai stata tanto sana e longeva come in questo nuovo millennio.Quanto precede inevitabilmente non può non concludersi con un paradosso ovvero che per uscire dal ciclo del pessimismo non c'è altra via che quella di sforzarsi di essere ottimisti, come il malato deve essere convinto di poter guarire, per guarire, e il prigioniero di essere un giorno liberato, per poter sopravvivere alla prigionia. Una conclusione ovvia, ma sulla quale sono pessimista.