MARCO PICCOLO

LA RIFLESSIONE DELLA SERA, FACEBOOK, BLOG, BLOGGERS, PRIVACY, CONFIDARSI IN PUBBLICO, CONFIDENZA, INTERNET,


COMMUNITY, BLOG, FACEBOOK  SONO LUOGHI PUBBLICIPRIMO: NON CONFIDARSI IN PUBBLICOLa confidenza è per sua natura personale, privata, vincolata alla riservatezza, e quindi l'idea di confidarsi in pubblico è tanto strampalata quanto quella di parlare a un cactus (l'attività preferita di Spike, mitico fratello di Snoopy).
Dev’essere rimasta di sale Kimberley Swann. Assunta finalmente come impiegata da una ditta, ha ricevuto dopo pochi giorni una lettera di licenziamento con una motivazione inconsueta: aver screditato l'azienda parlandone male su Facebook, il sito INTERNET di «socializzazione» più di moda del momento. Facebook è un luogo in cui si scambiano ogni sorta di informazioni-emozioni-proposte fra persone conosciute e sconosciute, fra vecchi amici e amici nuovi, fra professionisti della rete e semplici navigatori. Di qui l'equivoco: presumibilmente la ragazza inglese ha usato Facebook come si usa un canale privato (posta, telefono, e-mail). Senza rendersi conto che Facebook (così come i blog) sono un luogo pubblico, sia pur governato da particolari regole e limitazioni. Kimberley, si potrebbe dire, ha avuto l'audacia di confidarsi in pubblico, incappando così in un vero e proprio ossimoro della vita sociale. La confidenza, infatti, è per sua natura personale, privata, vincolata alla riservatezza, e quindi l'idea di confidarsi in pubblico è tanto strampalata quanto quella di parlare a un cactus (l'attività preferita di Spike, mitico fratello di Snoopy). Chi incappa in un incidente del genere sembra non rendersi conto del lato oscuro della società della comunicazione. Siamo abituati a pensare che l'interconnessione universale sia un pasto gratis, una meravigliosa possibilità regalata a tutti di poter trasmettere e ricevere informazioni, conoscere persone, operare a distanza. E invece essa è anche una cosa diversa, che non da tutti è stata compresa nei suoi effetti. Del resto è sempre stato così. Le società imparano molto lentamente a fare i conti con le conseguenze delle rivoluzioni tecnologiche. L'altra faccia dell'interconnessione globale è la distruzione della PRIVACY. Perchè la società della comunicazione distrugge la PRIVACY? Una ragione ovvia, visibile a occhio nudo, è che tutti i nostri comportamenti sono diventati «tracciabili». Qualsiasi cosa facciamo - telefonare, usare una carta di credito, entrare in un negozio video-sorvegliato, compilare un modulo di acquisto, collegarsi a INTERNET, usare un personal computer - depositiamo tracce informatiche indelebili del nostro passaggio, per non parlare delle tracce biologiche che continuamente lasciamo sugli oggetti, le persone, gli ambienti, e che l'analisi del Dna rende utilizzabili a fini di identificazione. Qualsiasi cosa facciamo può essere ripresa da un telefonino, di cui manco ci accorgiamo. Qualsiasi cosa diciamo può essere catturata da un registratore, a nostra insaputa. Qualsiasi immagine o voce ci abbiano carpito, può tranquillamente finire su YouTube, o essere riprodotta, diffusa, venduta nei circuiti più impensabili. Ma c'è una ragione più profonda che mina la PRIVACY, e quella ragione siamo noi stessi, o meglio i nostri comportamenti quotidiani. Nel giro di pochissimi decenni la nostra PRIVACY ha subito l'onda d'urto del nostro esibizionismo. Proprio mentre da ogni parte veniva proclamato il diritto alla riservatezza, fino al punto da considerare invasiva la pubblicazione dei voti finali sui tabelloni scolastici, l'evoluzione del costume procedeva in direzione diametralmente opposta. Il proprio privato, per quanto insignificante o addirittura riprovevole, viene continuamente e rumorosamente spiattellato all'attenzione di tutti, in treno come in aereo, al bar come al ristorante, in televisione come su INTERNET. Il sentimento del pudore si è ritirato come un ghiacciaio attaccato dal riscaldamento globale. Insomma, come in una scatola di sardine, siamo tutti vicini a tutti, continuamente invasi e sempre potenzialmente invasori. Il medesimo studente che chiede PRIVACY quando si tratta della sua pagella, non esita a riversare su INTERNET le immagini a luci rosse di compagne e fidanzate. Il cittadino che non vuole essere spiato o intercettato è il primo a sognare di finire su YouTube. Confessarci, esporci, mostrarci ci piace. E quindi confondiamo spazio privato e spazio pubblico. Non ci rendiamo conto che la PRIVACY, il diritto alla PRIVACY, è tante cose insieme. Diritto a non rivelare tutto di noi. Diritto a non far sapere a tutti quel che facciamo sapere a pochi. Ma anche diritto a non sapere i fatti altrui. A non interagire con tutti. A non essere invasi. Insomma, diritto a una distanza che, con il passare del tempo, sta diventando il bene più raro.