(risposta al quesito posto da FRABONVI nel commento al precedente post)LA CRONACA NERA...NERA COME LA PAURA!
Siamo inevitabilmente attratti dal delitto. Inutile negarlo. Certo, non significa che prima o poi ciascuno di noi commetterà qualche crimine, ma piuttosto che le vicende di cronaca nera ci respingono e ci attraggono allo stesso tempo. Ripulsa per l'orrore e la violenza che trasuda dai delitti più agghiaccianti, ma anche curiosità e stupore davanti ai comportamenti più efferati o agli episodi che ancora restano insoluti. Questo interesse non è una novità dei tempi moderni, si trovano più misfatti nella Divina Commedia di Dante o nelle opere di Shakespeare che nella "nera" di oggi. Sui giornali dell' Ottocento si faceva quasi fatica a distinguere tra i feuilleton, i cosiddetti romanzi d'appendice a puntate e le vicende reali di cronaca nera, il cui svolgimento spesso proseguiva anch'esso "a puntate", a mano a mano che l'inchiesta si dipanava. In Italia, la cronaca nera, quella parte del giornale che racconta disgrazie, crimini e in genere "fattacci" di sangue riprese proprio lo stile dei feuilleton, mescolando i fatti di cronaca con uno stile narrativo non distante dal romanzo. Ma ciò avvenne solamente dopo la Liberazione. Durante il Ventennio fascista, tra il 1924 e il 1945, era proibito parlare di omicidi, furti o rapine. Il regime, infatti, puntava a creare l'illusione che il fascismo avesse portato pace e benessere al Paese ed ecco dunque che sui fogli di allora i suicidi si trasformavano in "disgrazie con il gas" e gli omicidi in "incidenti sul lavoro".