PT CRUISER'S SICKS

Post N° 419


Chrysler, idee e tanti dollari per rinascere
Sempre più amata nel mondo, lotta per riconquistare gli Usa
MICHELE FENU
ROMA Ad Auburn Hills, come dire Detroit, guardano con invidia al Lingotto e Bob Nardelli spera di imitare presto Sergio Marchionne. La sfida, in fondo, è la stessa: riportare in alto un’azienda in crisi. Marchionne c’è riuscito con la Fiat, Nardelli, 60 anni, origini umbre, è convinto di poter fare lo stesso con la Chrysler, un nome famoso, con una grande storia alle spalle (fu fondata nel 1925) e una ricca tradizione nel campo dell’aerodinamica, dello stile e dell’innovazione. Come nel caso del Voyager che segnò negli Anni ‘80 un nuovo modo di intendere l’auto. A quasi un anno dal divorzio dai «padroni» tedeschi della Daimler e dall’acquisizione da parte di Cerberus Capital Management, società che gestisce 25 miliardi di dollari in fondi e conti, la «nuova» Chrysler sta combattendo una dura battaglia per riconquistare i clienti di casa e si prepara ad espandersi all’estero sull’onda di un successo che dura da 33 mesi. Nel 2007 le vendite globali hanno sfiorato i 2,7 milioni (più o meno come nel 2006), quelle extra Nord America hanno superato le 238 mila con un incremento del 15%. E, stupite, l’Italia ha rappresentato il primo mercato internazionale (22 mila consegne, +2%, 800 milioni di fatturato). «Ne siamo orgogliosi - dice a Roma l’Ad Andrea Badolati al lancio del nuovo Grand Voyager -. Tanti, malgrado tutto, sono affezionati al sogno americano. Ma in futuro ci superaranno Cina e Russia». I conti Chrysler sono in rosso e gli Usa stanno attraversando un periodo difficile, ma Nardelli e il suo staff, in cui abbondano gli italo-americani, sono convinti di tornare al pareggio e forse all’utile entro il 2009. Un miraggio? No, piuttosto la convinzione che le strategie elaborate negli ultimi mesi siano destinate a dare buoni frutti. Obiettivo fondamentale riequilibrare il rapporto costi-vendite per portare a casa profitti consistenti. Una svolta rispetto al passato in cui si puntava al traguardo dei 4 milioni di consegne: non sono i volumi che contano, ma la redditività. E, paradossalmente, il fatto che la Chrysler, con i suoi tre marchi Chrysler, Dodge e Jeep, non sia oggi quotata in borsa (è una «LLC» cioè, diremmo noi, una società a responsabilità limitata) è un fattore positivo nell’operazione di «ritaratura», perchè Nardelli e compagni non sono influenzati dagli alti e bassi di Wall Street (ne sa qualcosa Marchionne) ma devono rispondere solo a Cerberus e possono studiare piani a breve e medio periodo (3-5 anni). La strategia sviluppata per risanare l’azienda è un sapiente mix di idee, tagli e investimenti in strutture e nuove auto. In sintesi: tre miliardi di dollari sul tappeto; riduzione dei dipendenti (un taglio di 16 mila, oggi sono circa 180 mila nel mondo); chiusura o vendita di alcuni impianti (come quello in Brasile, ceduto a Fiat) e ristrutturazione di altri; riorganizzazione della rete commerciale e della gamma vetture con l’abolizione di alcuni modelli come la PT Cruiser Cabrio o la Crossfire, il lancio di novità importanti (i nuovi Suv targati Jeep, le Dodge Nitro, già un successo, e Journey) e creazione di un settore (ENVI) per lo sviluppo di veicoli elettrici e ibridi. Il tutto con l’ambizione di posizionarsi nelle fasce «Premium» dei mercati e la formazione di tre «divisioni» per coordinare le attività all’estero (Europa, America Latina e Asia, obiettivo 400 mila consegne entro il 2012) e di due per il controllo della qualità di prodotti-servizi pro clienti e per la gestione di alleanze con altri. E’ questo un capitolo che Nardelli considera «fondamentale». Non è un segreto che la Chrysler, in mano per l’80,1% a Cerberus e per il resto ancora a Daimler, cerchi un partner forte. E, intanto, rafforza le alleanze industriali per motori e cambi (ne ha con Volkswagen, Hyundai-Mitsubishi, VM Motori, Getrag, Mercedes), altre ne apre (con la cinese Chery per produrre vetture di segmento B e con la Nissan per distribuire in Sud America un’auto ispirata alla berlina Versa). Tanta carne al fuoco, «perchè la Chrysler si può salvare» sostiene Nardelli. Come diceva Marchionne per Fiat.