punto sul rosso

Audizioni


Mi prendi non mi prendi, mi scopri non mi scopri. Sento i tuoi passi sento il respiro che si avvicina e resto ferma: fermo le mani fermo i capelli fermo il cuore: non esisto: sono muro pianta intonaco legno. Mi trovi non mi trovi; aspetto. Fruscio scricchiolio, neanche tendo l’orecchio, sicura del mio non essere anzi dell’essere altro: non mi troverai non mi troverai. Niente più carne niente più fiato ma sono viva, viva altrove. Passi e ripassi, con circospezione, dissimuli i passi, sparigli il conto dei gradini, tendi i muscoli, fletti la schiena ma non mi trovi. Getti un sasso nel pozzo, ma non mi trovi. Se fossi edera mi strapperesti se fossi albero mi abbatteresti. Seduta a terra con mutande turchesi mi dondolo nell’attesa del vicino ma il vicino è partito ieri notte; ha svuotato casa e ha appeso un lume sul mio balcone. Mi dondolo nell’attesa, mi dondolo finché il lume non si spenga, la portinaia è grassa come tutte le portinaie e non guarda di buon occhio il mio zerbino, mi infila lettere sotto la porta e batte contro gli stipiti quando io non ci sono: l’ha sentita il vicino, prima di partire. Prima di partire mi aiutava con le buste della spesa, si precipitava per le scale e me le strappava di mano: ho ancora un graffio  sul dorso della mano. La portinaia non vedeva di buon occhio le mie buste della spesa, al tintinnio delle mie chiavi nel portone si irritava e emetteva un sibilo tipo lupa sdentata.Entrare uscire non fa per me, ogni giorno tutti i giorni, meglio starsene appesi come un lampadario: acceso spento senza la fatica di girare l’interruttore. Prego, non mi disturba, mi interrompa pure, sono qui a posta, sono fatta per essere interrotta. Dall’in piedi allo stare seduta il passaggio non è fluido: ripetere, prego. Quanti candidati ci saranno alle selezioni, quante selezioni ci saranno prima che io mi candidi? Sette prove, una al giorno, e se mi chiedono di mimare mimerò un lampadario: passo di sicuro. Ho la vittoria in tasca, in una tasca che avevo cucito di notte ma era buio e non ricordo dove. E poi c’è la voce, da sostenere. Ma la voce non ci sta, vuole farcela da sola, ma da sola non andrà lontano.Insomma, il tipo non mi chiama ed io parto, con le ciabatte che portavo e le mutande che portavo, per fortuna erano di pizzo. Sul treno mi sono fatta una treccia che ho adagiato sulla spalla sinistra. Per fortuna le unghie dei piedi erano rosse di smalto. Mi scarrozzo da sola, di carrozza in carrozza. Sto, di bagno in bagno, aggrappata alle maniglie, lo specchio mi guarda, gli sorrido. I minuti ingrossano le ore, a terra; sul treno, le ore sono noccioline da sbucciare: sibilo fermata, sibilo frenata e fermata. La porta è chiusa, vorrei sbirciare da sotto le ciglia chi passa e non entra ma occorre prudenza, ho la pancia piena di noccioline, aspetto. Ancora uno stridore di binari una frenata e una fermata. Scendo: ciabatte mutande di pizzo e occhi spalancati, fendo l’aria magnifica, magnifica io, stavolta ti prendo, son venuta a prenderti; con la mia lunga treccia spalanco le porte, sono treno da treno scesa; spalanco i bagni, non ho più bisogno di nascondermi, e vengo a prenderti. La mia treccia mi porta a te.