Blade Runner

Post N° 387


Elogio della tolleranza
La tolleranza è un’inclinazione civile a vivere in armonia con persone dalle credenze diverse e addirittura opposte alle nostre, o con abitudini sociali o costumi che non condividiamo. La tolleranza non è mera indifferenza, ma qualcosa che, in parecchie occasioni, comporta la sopportazione di ciò che non ci piace: certo, essere tolleranti non ci impedisce di formulare critiche ragionate e non ci obbliga a sottacere il nostro modo di pensare per non «ferire» chi la pensa in modo divergente. La tolleranza ha una doppia direzione, vale a dire che il prezzo di non proibire o di non interferire nel comportamento del prossimo ha, come contropartita, che questi si rassegni ad accettare le obiezioni o gli scherzi di chi ha gusti diversi. Certo, in molti casi la cortesia raccomanda moderazione, ma si tratta d’una scelta volontaria, non d’un obbligo di legge. Essere tollerante non significa necessariamente essere universalmente acquiescente. Oltretutto, ciò che va sempre rispettato sono le persone, non le loro opinioni o i loro comportamenti.Naturalmente la tolleranza esige una cornice condivisa di istituzioni che devono essere rispettate da tutti: chi le nega o le avversa nega anche il proprio diritto a essere tollerato. Uno dei pilastri della tolleranza è circoscrivere ciò che la espone a rischio - denunciare, cioè, sia l’intolleranza, sia l’intollerabile - e combatterlo in modo democratico. Lo scrittore svedese Lars Gustafsson l’ha riassunto egregiamente: «La tolleranza dell’intolleranza genera intolleranza. L’intolleranza dell’intolleranza genera tolleranza». Vale a dire, per esempio, che autorizzare attraverso escamotage legali la presenza alle elezioni di partiti che appoggiano o giustificano il terrorismo (come è appena successo nei Paesi Baschi) significa tutelare e fomentare l’intransigenza dei violenti, non scoraggiarla. D’altro lato, la possibilità di sfruttare i vantaggi della tolleranza pubblica impone a ciascuno di rinunciare a esercitare anche forme d’intolleranza privata. L’eccesso di suscettibilità di certi gruppi organizzati come autentiche lobby è una nuova forma d’intolleranza in nome d’una «tolleranza» che non ammette critiche contrarie. Come, per esempio, trasformare in «fobie» (islamofobia, cristianofobia, omofobia, catalanofobia e via dicendo), ossia in una sorta di malattia, qualsiasi valutazione negativa. Stabilire che chi dissente è una sorta di malato sociale è una delle più antiche pratiche totalitarie. In campo religioso la tolleranza democratica significa riconoscere il diritto di ciascuno a praticare un credo religioso a sua scelta, fin tanto che questo culto non violi le leggi civili (in caso di contrasto saranno queste ultime ad avere la supremazia); tale diritto individuale non deve, però, mai trasformarsi in un dovere per nessuno né, ovviamente, per la comunità nel suo insieme. Nessuna autorità religiosa può aspirare a trasformarsi in una sorta di tribunale superiore che giudichi quali leggi debbano essere accettate e quali respinte, che pretenda, cioè, di tramutare quelli che, per lei, sono «peccati» in «reati» per tutti in base al Codice penale. Ed è giusto non dimenticare neppure che il rifiuto di credere nel soprannaturale (in nome della verità o della ragione, per esempio) dev’essere un atteggiamento religioso difeso e protetto dalla legge. Lucrezio, Voltaire, Freud e Nietzsche sono figure della storia della religione proprio come Sant’Agostino o il cardinale Newman.Essere tollerante non significa essere debole, ma essere sufficientemente forte e sufficientemente sicuro delle proprie scelte da convivere con la diversità senza provare scandalo o soprassalti morali, sempre che siano rispettate le leggi. Il vero opposto della tolleranza è il fanatismo, che, sovente, è manifestato non dai più pervicaci, ma da quelli che pretendono di far tacere i propri dubbi chiudendo la bocca e mettendo le manette agli altri. Come ha detto bene Nietzsche, «il fanatismo è l’unica forza di volontà di cui sono capaci i deboli». Le società più intolleranti sono quelle che, generalmente, si sgretolano con maggiore facilità non appena si autorizzi a esprimere, al loro interno, il dissenso che rompe con l’uniformità costituita.