Angelo Quaranta

Marco Lodoli La fine dell'Umanesimo


di Marco Lodoli docente Mi rendo sempre più conto che questa è l’era del fraintendimento. Qualsiasi affermazione può essere capovolta, ogni pensiero stravolto per superficialità, malafede, fretta. Su Repubblica ho pubblicato un articolo, titolato “La fine dell’Umanesimo”, nel quale affermo che la lunga tradizione che abbiamo alle spalle, che ha nutrito o denutrito decine di generazioni, di colpo sembra essere diventata muta. I ragazzi di oggi – naturalmente le eccezioni sono tante e belle – non ricavano più nulla da quella infinita galleria di opere, artisti, filosofi, musicisti e poeti, pensatori ortosi o eretici che abbiamo traversato nella nostra educazione culturale. Io con mio padre ho molto litigato, e lui con il suo, e il nonno con il bisnonno, almeno così mi è stato raccontato, perché le posizioni erano diverse, le opinioni opposte, la sfida inevitabile: però il campo da gioco era lo stesso, qualcuno aveva le bocce nere e qualcuno quelle rosse, ma le regole, il ritmo del discorso, la connessione degli argomenti, l’arte di motivare o di infangare erano comuni. Mio padre, buon fascista, citava Gentile, Ezra Pound, Bottai, ma anche Marinetti e Pirandello, e io, giovane anarchico, infiammato da idealismi volatili, gli contrapponevo Giordano Bruno e Bakunin, Campanella e Malatesta, Tolstoi e Campana: a tavola era un pandemonio, perché ognuno voleva avere ragione e chiamava i suoi eroi a raccolta, e volavano citazioni, baggianate, parole alte e parole dure. Oggi non si litiga più con i figli perché è come uno scontro tra la racchetta da ping pong e l’arco con le frecce: mondi diversi, regole inconciliabili, indifferenza reciproca. E’ crollato quel museo occidentale nel quale ci siamo formati. Ora c’è un altro mondo, migliore, peggiore, diverso. Io non difendo né l’uno né l’altro, o forse sì, forse ancora penso che la grande cultura classica abbia una potenza capace di far scattare in ogni cervello scintille d’oro, però mi rendo conto che quel discorso è chiuso, non arriva più, le parole dei filosofi e dei poeti si affievoliscono nell’aria, scompaiono prima di arrivare nell’anima dei ragazzi. Su molti blog sono stato aspramente ripreso perché, ecco il fraintendimento, avrei liquidato la cultura umanistica: io, che in questo periodo, tanto per dire, sto preparando un libro su Ariosto e Tasso, sulle maghe e gli eroi. Così mi becco sassate immeritate solo perché ho posto una questione che mi pare rilevante e sulla quale tutti dovremmo riflettere: la nostra tradizione, da Socrate a Pasolini, da Monteverdi a Bob Dylan, da Virgilio a Gadda, da Piero della Francesca a Burri è ancora vitale, incontra le attese dei più giovani, sa farsi ascoltare? Io ho qualche dubbio. E voi che ne pensate? 05 novembre 2012