Angelo Quaranta

Roma ore 11 un film inchiesta del 1952


Roma ore 11 è uno dei vertici del cinema di De Santis nel modo in cui coniuga la riproduzione della realtà (la sceneggiatura è stata scritta, oltre che dallo stesso regista, anche da Zavattini, Sonego, Puccini e Franchina) e una tensione da dramma quasi da camera, con l’azione stretta in una soffocante unità di luogo dove gli ambienti sono stati ricreati in studio dallo scenografo francese Léon Barsacq.
Le forme del film-inchiesta sono già in apertura. I titoli dei quotidiani sul fatto di cronaca, il rumore della tastiera della macchina da scrivere. Nel bianco e nero dai toni noir di Otello Martelli che aveva già segnato sia Caccia tragica sia Riso amaro, si intravede già un senso di tragica predestinazione, dove le tracce poliziesche sono evidenti soprattutto negli occhi di Carla Del Poggio e nella soggettiva in commissariato dove gli sguardi sono tutti addosso a lei. Del resto, forse De Santis all’epoca era con Germi forse il più ‘statunitense dei nostri cineasti’, capace di alterare percettivamente gli spazi e di ricorrere a quella recitazione straniata degli attori che è un percorso che era iniziato, oltre che con Riso amaro, anche nel precedente Non c’è pace tra gli ulivi.
C’è l’immagine dell’Italia del dopoguerra, la ricerca del lavoro come ossessione dove lo sguardo di De Santis sembra filmare insieme speranza e disperazione come De Sica con Lamberto Maggiorani in Ladri di biciclette. Da una parte Roma ore 11 è strettamente legato al Neorealismo proprio nel modo di accendere le reazioni delle protagoniste partendo proprio dall’attesa fuori il cancello con l’arrivo progressivo di tutte le ragazze alla ricerca dell’impiego che si accalcano. Per accentuare la verità infatti fanno parte del film tre ragazze che sono state realmente presenti il giorno del crollo. Dall’altra però rappresenta anche il punto-limite, la dichiarata impossibilità del movimento di procedere oltre come era avvenuto in Umberto D. di De Sica. Entrambi i film sono infatti del 1952 e già l’anno prima Renato Castellani, con Due soldi di speranza, iniziava ad aprire la strada alla commedia all’italiana partendo però sempre dal minuzioso studio dei caratteri e dei luoghi.