Angelo Quaranta

Gli Usa si confrontano con "l'oceano dannatamente largo della filosofia" di Franco Bolelli


Stanno per arrivare in libreria alcuni saggi destinati a rilanciare il dibattito sul mondo in mutamento. Il primo - Whole Earth Discipline di Stewart Brand - è già uscito da poco in America. Poi tocca – in versione italiana - al Nassim Taleb di Robustezza e Fragilità. Quindi ci sarà Steven Johnson con Where Good Ideas Come From. E fra qualche settimana – vera panna sulle fragole - What Tecnology Wants di Kevin Kelly. Questi libri hanno due cose in comune. La prima è che tutti quanti trattano di evoluzione e delle possibilità umane di vivere il vertiginoso cambiamento in atto dalla parte delle opportunità. La seconda è che tutte queste opere non si possono minimamente etichettare, e, infatti, trovarle negli scaffali delle librerie – tutti così rigidamente schematici - è più complicato che leggerle. A me – che pure non provo alcuna passione per le definizioni- verrebbe da dire che questa che questi autori producono a tutto campo è semplicemente Filosofia Americana. Perché sì, un paese che in quasi duecentocinquant’anni ha inventato di tutto e di più, ci sta che abbia prodotto anche un po’ di filosofia, no? Solo che per la cultura accademica italiana ed europea in generale la mappa della filosofia è come se fosse ferma a quando la terra era piatta: l’America nemmeno esiste, e così pure le filosofie cinesi, indiane, giapponesi. Non si tratta soltanto di cattive abitudini, di pigrizia e provincialismo mentale. E’ che quella che chiamiamo filosofia è in realtà “filosofologia” (come l’ha suggestivamente ribattezzata anni fa Robert Pirsig): ovvero, pensiero sul pensiero, pensiero che non crea nulla di suo ma si limita parassitariamente ad analizzare e interpretare ciò che altri filosofi più antichi hanno pensato (qui da noi c’è una notevole eccezione che si chiama Emanuele Severino). In questo senso l’oceano è ancora dannatamente largo, perché nel suo assoluto pragmatismo la cultura americana è completamente refrattaria ad astrazioni e concettualismi, e la sua filosofia fatichiamo –in una visione anacronisticamente eurocentrica- a riconoscerla come filosofia perché invece di applicarsi al puro pensiero lo mescola con scienza, tecnologia, economia, e con tutte le altre manifestazioni dell’attività umana. E’ in definitiva una filosofia non mentale ma vitale. D’altra parte già un vecchio indomabile leone tedesco che non faceva mistero del suo disprezzo per tanti suoi “colleghi” ci aveva raccontato di poter credere soltanto a quei pensieri che sono una festa anche per i muscoli. Era lo stesso filosofo – Friedrich Nietzsche - che proclamava che “solo per creare voi dovete imparare”, e a me sembra che questo sia proprio il metabolismo – molto più fisico che non metafisico- della Filosofia Americana. Perché mentre parlano di innovazione, economia, ambiente, social network, e mille altre cose che imperversano nel dibattito contemporaneo dove tutto si connette con tutto, i vari Brand, Taleb, Johnson. Kelly e quelli come loro stanno reinventando la stessa filosofia.  12 agosto 2010